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A Real Pain

2024
REGIA:
Jesse Eisenberg
CAST:
Jesse Eisenberg (David Kaplan)
Kieran Culkin (Benji Kaplan)
Will Sharpe (James)

Il nostro giudizio

A Real Pain è un film del 2024, diretto da Jesse Eisenberg.

Chi ama il cinema sa bene che la vita può essere molte cose. Per Sir Hitchcock, ad esempio, la vita era una bella fetta di torta. Per l’ingenuo Forrest Gump, invece, una misteriosa scatola di cioccolatini. Oppure, per due alfieri del sorriso come Roberto Benigni e Frank Capra, semplicemente qualcosa di bello e meraviglioso. Ma per il caro Jesse Eisenberg la vita parrebbe piuttosto simile al congestionato terminal di un aeroporto, nel quale il frenetico andirivieni di vite vissute permette il fugace incontro-scontro fra perfetti (s)conosciuti costretti, prima o poi, a far ritorno là dove tutto ha avuto inizio. D’altronde, come si sul dire, il vero spirito del viaggio non è forse proprio il ritorno? Ed è dunque all’interno di questo metaforico crocevia di Arrivals e Departures che inizia e nietzschianamente finisce la tenera, intensa e pure un po’ folle epopea on the road di A Real Pain: delicata ed intelligente opera seconda con la quale il nostro talentuoso figlio di Nuova York sceglie di rispolverare il ficcante impianto dramedy del suo filmico battesimo del fuoco per scrivere, dirigere e anche interpretare un sentitissimo Viaggio al termine della Memoria dove saranno ancora una volta i legami di sangue il propellente capace d’innescare un cammino di (ri)crescita, (ri)scoperta e riflessione ben più ampio di qualche cromosoma o confine in comune. Anche perché, dando retta al saggio Proust, il viaggio altro non è, in fondo, che l’avventurarsi nella dimensione del tempo e dei ricordi, nevvero?

Non più, dunque, quel profondo quanto turbolento rapporto di amore-odio fra una madre e un figlio così pregnante in quel piccolo irriverente kammerspiel che fu Quando avrai finito di salvare il mondo, quanto piuttosto un egualmente stretto e a suo modo problematico fil rouge che lega, stavolta, i due antitetici Cugini – di non certo casuale chabroliana memoria – che vivono e viaggiano – al pari di veri e propri fratelli nati a nemmeno tre giorni di distanza l’uno dall’altro – nel mezzo degli snelli novanta minuti di A Real Pain; un tempo così uniti nella loro mai del tutto perduta affinità e ora così agli antipodi nel loro ossimorico temperamento ed incompatibile life style. David (Jesse Eisenberg) e Benji (uno strepitoso Kieran Culkin): l’Odine e il Caos, lo Yin e lo Yang, il Sacro e il Profano, la Ragione e l’Istinto. L’uno assennato, remissivo e, forse, inconsciamente represso padre di famiglia fiero di guadagnarsi onestamente da vivere con la creazione di banner pubblicitari online ma sottilmente geloso dell’incontinente – e più che mai apparente – joie de vivre del proprio antico sodale. L’altro, di contro, uno scapestrato, irruento, strafumato e bipolare giramondo impenitente perennemente sul filo della depressione ma comunque capace, nonostante lo spettro di un ancora fresco e fortunatamente incompiuto Insano Gesto, di una straordinaria e contagiosa sensibilità. Sono loro gli (anti)eroi, l’Alfa e l’Omega, di una grottesca Odissea in terra polacca all’insegna di un tour guidato alla (ri)scoperta del martoriato paese natio dell’amata nonna da poco scomparsa; con lo scopo di rinverdirne la memoria e con essa quella del discriminato Popolo Eletto dal quale la loro famiglia orgogliosamente – e dolorosamente – discende. Quale sia, dunque, il Vero Dolore al quale l’opera di Eisenberg fa riferimento è una questione ben più complessa di quanto non appaia fra un sorriso a denti stretti e una lacrima inutilmente trattenuta.

Cullato dalle dolci note di un romantico figlio della Vistola come Fryderyk Chopin e plasmato attraverso uno stile indie estremamente pulito ed essenziale che ben si sposa con la densa sostanza che lo innerva, A Real Pain ci parla essenzialmente di quei suscettibili luoghi del ricordo che, siano essi un monumento ai caduti, il memoriale di un campo di sterminio, un ghetto ormai del tutto riconoscibile, un antico cimitero ebraico piuttosto che una vecchia casa d’infanzia sul cui selciato lasciare commemorative Pietre della Visitazione, possono risvegliare proustiane epifanie utili a fare i conti con sé stessi e con un passato tanto maiuscolo quanto minuscolo. Così come il giovane ruandese Eloge (Kurt Egyiawan) che, pur non avendo il medesimo puro sangue di Abramo dei suoi altri simpatici compagni di viaggio a scorrergli nelle vene ne condivide tuttavia il traumatico vissuto da perseguitato errante, così infatti i nostri Cugini Diversi non potranno che riscoprirsi affini pur nel mezzo di quell’apparentemente incompatibile esistenza che li ha tenuti a lungo lontani per motivi ben più profondi di quella semplice e beneamata lontananza a lungo (de)cantata dal grande Modugno. Se è vero, dunque, che, come direbbe Jonathan Safran Foer – e di filmica conseguenza anche Liev Schrieiber – Ogni cosa è illuminata, anche il singolo e al contempo comune vissuto di David e Benji non potrà che apparici sotto una nuova luce in prossimità di quel catartico e più che mai ambiguo THE END capace di ricondurre – con un bel po’ di amarezza e nostalgia residua – a quella routine quotidiana nella quale la consapevolezza di ciò che si è lasciato dietro di sé apaprirà decisamente maggiore di ciò che si potrà forse un giorno (ri)conquistare.