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Afyon oppio

1972
Titolo Originale:
Afyon oppio
REGIA:
Ferdinando Baldi
CAST:
Ben Gazzara (Joseph Coppola)
Silvia Monti (Claudia)
Fausto Tozzi (Don Vincenzo)

Il nostro giudizio

Afyon oppio è un film del 1972, diretto da Ferdinando Baldi

Quando i film cominciano a presentare più titoli, che si accavallano, si mischiano e si confondono, è segno immediato, epidermico, che c’è del casino nella loro storia. Qui troviamo di base il titolo Afyon oppio, che diventa Sicilian Connection – Afyon oppio, che poi si trasforma ancora in Afyon oppio – Quello strano fiore chiamato papavero. E a cercare ne salterebbero fuori di sicuro altri. Tirando dal gomitolo l’ultimo titolo fatto, il filo si srotolerebbe fino ad arrivare al celebre (celebre… oddio…) Il papavero è anche un fiore di Terence Young, con Yul Brinner, che è il canovaccio di questo nostro film di Ferdinando Baldi realizzato sei anni dopo, nel 1972. L’idea è che la Cia americana o la Dea che dir si voglia, organizzi un piano più o meno diabolico come sono sempre quelli dei servizi segreti americani, per sgominare il traffico dell’oppio che ha il proprio punto nevralgico in Turchia e più precisamente in Cappadocia, ad Afyon, in quei posti “lunari” dove Pasolini girò la sua Medea e Alberto Cavallone il misterico Maldoror.  Qui, in Afyon oppio, l’equivalente di Yul Brinner in Young, è Ben Gazzara, un agente Usa che si infiltra come spacciatore e mazziere nel commercio della droga, risalendone come un salmone la corrente, dalla valle dei Camini delle Fate, fino alla Sicilia e dalla terra dei padrini, poi, fino a New York. Dove l’avventura di Gazzara alias Joseph Coppola, ha avuto inizio e dove avrà, nel senso più drammatico, fine.

Titoli diversi, diverse vicende e ingarbugliate: all’inizio pare lo dovesse produrre lo sceneggiatore Duilio Coletti, esattamente quello del misteriosissimo L’uomo di Corleone del 1977 (che c’è chi dice che fu fatto e chi no: ma in realtà fu fatto) insieme ai fratelli Bregni della PAC; poi subentrò Manolo Bolognini, ma non se ne fece di nuovo niente e alla fine il film fu portato in porto dai Bregni con una coproduzione francese. Non c’è da stupirsi che qui in mezzo ci sia capitato Gazzara, perché nel 1971/’72 non era ancora il Gazzara di Assassinio di un allibratore cinese ma soltanto un interpretino di serie tv e di film su tigri assassine tipo Maneater. Si potrebbe persino sospettare che la parentesi siciliana sia stata inserita al volo perché era uscito Il padrino e quindi si cercava di trarre partito da questo – ma le date non quadrano: Il padrino uscì ad agosto in Italia e Afyon oppio andava in censura a dicembre. Sembra molto stretto come tempo… Permane, comunque, nel ricordo come un film statico, che non è un controsenso per un action, ma vuole semplicemente dire che non ci sono bagarre o inseguimenti o sparatorie plateali e che si predilige un racconto meno roboante. La pregiudiziale sarebbe stimarlo alla luce di un poliziesco o poliziottesco. Non lo è, Afyon oppio. E si avvicina invece alla struttura del film di Young, dove comunque l’azione era quella di vecchia scuola americana, senza eccessi e senza cose troppo fiammeggianti.

Afyon oppio sono quasi tre film distinti: la storia in Turchia, quella in Sicilia dove entrano a sorpresa scene che parrebbero mutuate da un Samperi – con Malisa Longo e la bella José Greci che tentano di sedurre con lo sguardo e col modo di portare il cibo alla bocca Ben Gazzara – e l’appendice newyorkese, che sui manifesti di una delle tante versioni circolate parifica il destino di Joe Coppola a quello di Petrosino e di Joe Valachi. Perché Gazzara, nella storia, balla un po’ sull’orlo dell’abisso tra “mistificatore e mercante, corruttore e padrino, agente  segreto e traditore”. Lo stesso status un po’ ibrido del film, ben girato perché Baldi sapeva il fatto suo, ma eccessivamente vegano per la dieta di chi ama l’exploitation: non c’è “ciccia”, insomma. Difatti, il momento più efficace resta quello dell’inizio, quando un maresciallo della finanzia che vuole guardare nella bara di un mafioso, dentro il cui corpo è stato nascosto un carico di droga, viene silenziato rinchiudendolo nel feretro insieme alla salma, fetida e sventrata per estrarne la merce. L’unica sequenza, più per l’idea che per ciò che si vede effettivamente, su cui la censura in Italia intervenne.