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Alien: Romulus

2024
REGIA:
Fede Álvarez
CAST:
Cailee Spaeny (Rain Carradine)
David Jonsson (Andy)
Archie Renaux (Tyler)

Il nostro giudizio

Alien: Romulus è un film del 2024 co-scritto e diretto da Fede Álvarez.

Sette anni dopo Alien: Covenant e un progetto annunciato e poi abbandonato, in cui Sigourney Weaver avrebbe nuovamente interpretato l’eroina Ripley sotto la direzione del regista Neill Blomkamp, la saga di Alien ritorna sul grande schermo con uno sguardo fedele all’originale del 1979 di Ridley Scott. Scott è ancora in attesa di poter chiudere la sua personale trilogia prequel, iniziata con Prometheus e arenatasi tra compromessi produttivi e aggiustamenti narrativi con Covenant, e compensa la delusione producendo il settimo capitolo ufficiale della sua saga, Alien: Romulus, pubblicizzandolo come una storia a sé stante all’interno dell’universo narrativo di Alien, con in realtà dei collegamenti puntuali al dittico prequel. Per l’occasione lascia le chiavi della regia a Fede Álvarez, uno dei maggiori talenti emersi negli ultimi anni nel genere horror e thriller. Álvarez, con il remake de La casa nel 2013, aveva già ampiamente dimostrato di avere la stoffa e il coraggio di rivisitare i cult del passato con una visione personale, pur rimanendo fedele allo spirito originale. Lo stesso approccio è visibile anche nel suo contributo alla saga dello xenomorfo, in cui recupera le atmosfere del primo capitolo con un occhio moderno nella gestione della tensione e del ritmo. La storia è un interquel tra Alien di Scott e Aliens di James Cameron. I detriti della Nostromo sopravvissuti all’esplosione provocata da Ripley vengono recuperati dalla stazione di ricerca Romulus, di proprietà della Weyland-Yutani, con l’intento di trovare tracce dello xenomorfo.

Intanto, in un pianeta anni luce dalla Terra, un gruppo di coloni alla ricerca di capsule criogeniche necessarie per affrontare lunghi viaggi nello spazio e fuggire dalla colonia, si imbatte nella Romulus, alla deriva e senza equipaggio. Per accedere alle camere dell’astronave è però necessaria la presenza di un androide della Weyland e per questo Tyler (Archie Renaux) chiede aiuto a Rain (Cailee Spaeny) e al suo amico fraterno Andy (David Jonsson), un robot riprogrammato dal padre per proteggerla. Entrati dentro la Romulus, il gruppo di coloni trova quello di cui hanno bisogno e anche un manipolo di xenomorfi in attesa di corpi in cui potersi riprodurre. La razza aliena non sarà comunque l’unico pericolo che dovranno affrontare, perché la Romulus sta per impattare contro un anello di meteoriti.
Fortemente legato alla mitologia dei primissimi film, Alien: Romulus mescola in modo sapiente l’uso del buio e del sonoro per costruire la suspence – la storica tagline “nello spazio nessuno può sentirti urlare” trova in un paio di sequenze un’applicazione pratica – con l’action roboante del film di Cameron, un mix che Álvarez plasma non solo nello stile visivo e nella narrazione, ma anche nella costruzione dei personaggi. La final girl Rain, infatti, presenta tratti delicati e fragili come la Ripley del film di Scott per poi trasformarsi in un personaggio attivamente combattivo come la Ripley di Aliens. Romulus si allontana dalla deriva esistenzialista e filosofica di Prometheus e Covenant (che però sono presenti e chiaramente citati) e ritorna a essere uno slasher-monster movie ambientato nello spazio, in cui tutti i momenti cult della saga vengono puntualmente riproposti: l’alieno che fuoriesce dal petto, il face to face urlante tra la creatura e la protagonista, le analogie sessuali nei design legati alla creatura, il design abbandonato e sporco dell’astronave nonché la sua conformazione dai tratti organici.

Allo stesso tempo, alcuni elementi vengono aggiornati: del tutto inedito è il rapporto fraterno tra Rain e l’androide Andy, il cui arco narrativo è complesso e fortemente drammatico. Siamo ben lontani dal pigro svolgimento di un fan service senza coraggio, perché Alvarez sfrutta al meglio gli ambienti cupi e claustrofobici per mettere in scena una escalation di tensione e gore che viene dritta dai fantahorror degli anni Ottanta (attenzione alla scena del parto, di forte impatto), con un finale al cardiopalma che sembra interrompersi per poi riprendere e alcune sequenze spettacolari, con protagonista il sangue corrosivo delle creature. L’idea di orrore di Alvarez è improntata maggiormente sulla quantità (i mostri sono numerosi e in alcune inquadrature saturano lo schermo) e sull’impatto visivo piuttosto che sulla sottrazione (anche se, come già detto, l’assenza del sonoro in un paio di scene è sorprendentemente angosciante) e alcuni effetti visivi digitali sono piuttosto discutibili, specie quelli usati per riportare in scena un personaggio del film del 1979, ma il risultato è a conti fatti efficace e, alla fine, necessario per poter ricollocare organicamente il discorso iniziato in Prometheus all’interno della saga.