Always Watching: A Marble Hornets Story
2015
Always Watching: A Marble Hornets Story è un film del 2015, diretto da James Moran
In un’epoca dominata da paranoie e timori sempre crescenti, frutto di una società sempre più schizofrenica e allo sbando, risulta davvero molto interessante notare come l’archetipo ancestrale dell’Uomo Nero (in particolare nella sua funzione allegorica) sia tornato prepotentemente a popolare l’immaginario cinematografico postmoderno, grazie alla tendenza dei nuovi autori a pescare a piene mani dal suggestivo e brulicante sottobosco delle leggende metropolitane, prodotte e diffuse tanto nella classica forma orale quanto attraverso i nuovi canali multimediali. Ed è proprio a partire da uno di questi nuovissimi generi narrativi 2.0 come il creepypasta che James Moran sceglie di trarre il soggetto principale del proprio esordio registico, rievocando la celebre e inquietante figura dello Slender Man, oscuro boogeyman alto e filiforme privo di volto ed elegantemente abbigliato partorito dalla fervida immaginazione del fotografo Erik Knudsen e divenuto a partire dal 2009 un autentico fenomeno virale e transmediale. Tentando di espandere in forma di lungometraggio/spin-off l’ormai famosissima webserie Marble Hornets (2009-2014) – di cui riprende il formato da mockumentary “professionale” – Always Watching: A Marble Hornets Story (conosciuto anche come The Operator) narra la terribile vicenda di una troupe televisiva composta dal cameraman nerd Milo (Chris Marquette), dall’intraprendente reporter Sara (Alexandra Breckenridge) e dall’aitante produttore Charlie (Jake McDorman).
Durante la realizzazione di una docu-serie dedicata agli sfratti domestici, finiscono per imbattersi nell’improvvisa e inspiegabile sparizione della famiglia Wittlocke, la cui sorte sembra essere legata a un’ inquietante figura che compare sullo sfondo nei numerosi videonastri registrati dal capofamiglia e che sembra ora aver infettato anche le vite dei nuovi incauti avventori, le cui esistenze verranno presto trascinate una spirale di orrore soprannaturale. L’esordio dietro alla macchina da presa di Moran – già con le mani in pasta in qualità di assistente alla ragia in numerosi prodotti seriali quali Ouija, Paranormal Activity e Sinister – non può dirsi certo riuscito, poiché l’operazione messa in piedi con l’intento di dare nuova linfa al filone dell’horror virale in POV risulta niente più che uno sterile collage fastidiosamente citazionistico dei più celebri titoli del settore, partendo dall’ingombrante ombra di The Blair Witch Project, passando obbligatoriamente per l’orrore in presa diretta di ESP e REC per finire inevitabilmente col rievocare il cancro fantasmatico di The Ring trasmesso mediante il potere della video-tecnologia.
Lo Slender Man (o meglio, l’Operatore) messo in scena in Always Watching ricorrendo ai più collaudati e sclerotizzati artifici estetici del genere (interferenze elettromagnetiche, apparizioni e sparizioni subliminali ecc.), più che con la figura metaforica del Babadook – e della materna entità di Somnia – condivide molti più punti in comune con il Bye Bye Man e le spettrali entità telematiche di Kairo, presenze incorporee ma letali abitanti la dimensione parallela delle telecomunicazioni e che, come la Sadako di Ringu, perpetuano sé stesse e la propria maledizione virale attraverso supporti visuali pronti per essere infettati. Niente di nuovo sotto il sole e lo stesso Moran sembra esseRne perfettamente al corrente, tanto da evitare come la peste ogni ambizione autoriale per confezionare un anonimo prodotto d’intrattenimento destinato a un classico consumo da domenica pomeriggio.