American Horror Story: Apocalypse
2018
American Horror Story: Apocalypse è una serie tv del 2018, ideata da Ryan Murphy e Brad Falchuk.
L’ottavo round di American Horror Story è giunto al termine e c’è molto da dire su questa stagione che non ha provato solo ad andare “alle radici” di sé stessa, anche se questo è un elemento determinante di Apocalypse. Dopo che AHS: Cult, la settima stagione, era riuscita a rappresentare l’umore politico della fine della modernità in modo spaventosamente plausibile, ma non proprio divertente, AHS 8 ritorna al soprannaturale e al mistico, e lo fa al ritmo di brani scelti dal repertorio pop o alternativo più raffinato, pezzi sempre adatti ad accompagnare le scene e i momenti critici del racconto:“Baby I’m want you” dei Bread è praticamente un ironico leitmotiv di tutto lo show, ma anche “Glori Box” dei Portishead, “She’s like a rainbow” dei Rolling Stones e soprattutto “Gipsy” nell’esecuzione di Stevie Nicks che riemergerà da AHS: Coven nel ruolo di strega bianca. Il preludio è fantastico, questo panico nel tempo della fine dei giorni, il grande caos, gradito soprattutto ai fan dei contenuti post-apocalittici, l’eccitazione dello scenario iniziale lascia poi posto all’annuale domanda di tutti gli appassionati della serie : “Chi interpreta chi questa volta?”, vista la caratteristica dello show di aver da sempre riutilizzato la maggior parte degli attori in ruoli diversi (una menzione speciale qui a Sarah Paulson, veterana della serie che si supera in un riuscitissimo doppio ruolo) ma sempre legati da un sottile filo rosso, senza rinunciare però, ogni volta, all’inserimento ben studiato di nuovi volti sempre iconici, uno fra tutti quello di Joan Collins in un ruolo molto dynastiano. Le scene ambientate nel bunker (che poi apprenderemo essere stato una scuola per stregoni) del secondo episodio creano il timore che tutti gli episodi possano svolgersi in uno scenario così claustrofobico, anche questa sarebbe stata una bella sfida.
Ma la narrazione è seria, lo scenario varia, il ritmo è ottimale, e forse lo show voleva solo regalare agli spettatori la stessa sensazione opprimente percepita dai detenuti dei bunker; fortunatamente, lo scenario e la narrativa cambiano e nell’oscurità trovano spazio numerosi elementi fiabeschi come mele rosse avvelenate o carrozze cinderelliane. Nel corso del tempo, la storia rivela alcuni livelli precedentemente meno evidenti e, soprattutto, inventa un dispositivo stilistico che è già stato ampiamente utilizzato in AHS: Hotel, la stagione viene riproposta con personaggi e temi: il flashback, che fa si che ciò che non era così spettacolare in molte altre stagioni sia diventato vitale in American Horror Story: Apocalypse a causa della sua responsabilità antologica. Ora è chiaro che tutte le stagioni sono più o meno collegate nei contenuti, basti pensare all’eterna lotta tra universo maschile e femminile, qui molto ben rappresentata, o alla satira politica sempre dietro l’angolo, ma anche all’approfondimento di alcune vecchie conoscenze, come il ritorno di Jessica Lange nel suo ruolo di Constance Langdon e dell’iconica Murder House della prima stagione. Èd è ovvio qui che American Horror Story cerca di ricostruire un po’ dell’antico effetto horror con questo semplicissimo trucco nostalgico per riparare il rapporto sofferente con una fetta del pubblico. Ma sorprendentemente, la storia di base e il suo mix di AHS: Murder House e Coven (stagione sottovalutata che qui ha una buona occasione di riproporsi nella sua seminale importanza nell’opera omnia) funzionano molto bene, le crisi logiche interne e i personaggi dotati di poteri soprannaturali, in primo luogo streghe e stregoni dalla complessa psicologia, offrono spazio molto efficace in merito ai temi del ritorno e della sorpresa.
Ma soprattutto, la visita alla Murder House sembra un po ‘come la visita di sopralluogo di una nuova costruzione, supportata da una valida narrativa storica. Il personaggio principale, Michael, è ben descritto nella sua preistoria, anche se non sempre il racconto delle sue origini risulta televisivamente efficace. Però la bravura di Ryan Murphy sta nel saper sempre ricavare, da banali vicende della trama, dei punti salienti elaborati in una forma molto significativa: lo scontro tra una strega e un figlio di Satana, numerosi elementi scioccanti orientati al mistero, non avrebbero avuto alcun senso se non nel complesso della grande costruzione globale messa in scena. Anche se poi nel corso delle puntate si evidenziano enormi cambiamenti e si rivelano diversi scenari e tempistiche. E’ importante guardare in modo critico a quello che sembra sia uno spettacolo finito troppo veloce, perché la sensazione finale è che nel complesso sia accaduto tutto in un tempo troppo breve. American Horror Story: Apocalypse si pone come uno show ben fatto, migliore anche di Cult, per fare un paragone con la stagione immediatamente precedente: la narrazione su più livelli è simile, ma qui abbiamo molti elementi mistici e soprattutto splatter di maggiore interesse. Pare certo che dopo Apocalypse seguirà una nona stagione, mentre una decima, prevista per il 2020, è stata già acquistata. Non è ancora chiaro quale titolo avrà, né in quale direzione andrà, ma dopo il finale di Apocalypse, teoricamente, sarebbe concepibile una connessione che possa sapientemente traghettarci verso un’ ultimo definitivo finale.