An Affair to Die For
2019
An Affair to Die For è un film del 2019, diretto da Victor Garcia.
Non so quanti si ricordino di L’ultima volta che mi sono suicidato, film del 1997 scritto e diretto dallo Stephen Kay, di Boogeyman e La vendetta di Carter. Più probabile che la memoria rammenti invece Vi presento Joe Black, dell’anno successivo, 1998, remake di quel La morte in vacanza che si ispirò al dramma del commediografo Alberto Casella sulla sua Villa Josephine, la villa “maledetta” di Rocchetta Cairo. Apparentemente senza punti di contatto, questi due film hanno invece una cosa in comune: Claire Forlani. L’attrice inglese raggiunse il suo apice di popolarità dalla seconda metà degli anni novanta e riuscì a interpretare un altro paio di buoni film nei primi duemila, salvo poi discendere la china e, tra una serial tv e l’altra, finire in film da DTV o in disaster movie da Syfi channel. Che con tutto il bene che gli si può volere, Syfi certe volte si fa carico di prodotti che trascendono il divertissement becero da serata con gli amici, sfociando nell’imbarazzante. Ecco, An Affair to Die For non viene dal canale americano, ma potrebbe tranquillamente farlo perché un po’ imbarazzante lo è ugualmente.
Diretto dallo spagnolo Victor Garcia, regista di Gallows Hill e di Hellraiser: Revelations, il film è un thriller a cui piacerebbe tanto essere cerebrale, tensivo e magari originale, ma purtroppo l’unica cosa che riesce a fare è provocare irritazione. Sia chiaro, il problema non è la narrazione in sé, discretamente ritmata, e neppure la regia di Garcia visibilmente senza infamia né lode, quanto invece il fatto di avere tutte le carte in regola per essere un buon film e riuscire ugualmente a non esserlo. Eppure la storia è interessante: Holly (Claire Forlani) è in viaggio di lavoro, o almeno così ha detto al marito Russell (Titus Welliver), ma in realtà è diretta in hotel per un appuntamento con l’amante, Everett (Jake Abel). Il luogo galeotto sarà teatro di un gioco del gatto col topo fra i due amanti e un terzo incomodo, che ha organizzato un piano per vendicarsi. Scritta così la trama di An Affair to Die For può apparire banale, ma è articolata in modo davvero intrigante e fa male al cuore accorgersi di come sia mancata la capacità di capitalizzare le premesse.
In quell’unica location si muovono i protagonisti, quasi come fosse un’opera teatrale e in effetti avrebbe reso maggiormente proprio in un teatro, dove l’interazione con gli spettatori è differente, a livello emotivo e sensoriale, e dove tutto acquista una realtà più adatta a certe scelte di sceneggiatura. La sospensione dell’incredulità cinematografica si incrina se costruisci situazioni contorte ma i personaggi non sembrano interessati a sviscerarle, se in fondo non si ha l’impressione che vogliano realmente capire che succede. Manca un reale senso di suspense, la costruzione è artificiosa e in una narrazione di base che consentirebbe molto ci si è limitati a sciorinare cliché, invece di sviluppare qualcosa di potente. Aggiungi pure che hai un attore come Titus Welliver e lo usi così poco e male che tutto rasenta il criminale. An Affair to Die For è purtroppo incapace di attirare l’attenzione, e quando hai pochissimi attori e location altrettanto ristrette ciò rischia di divenire una pietra tombale. Un peccato che tutto quello che resta dopo la visione sia solo una blanda alzata di spalle.