Ancora un’estate
2023
Ancora un’estate è un film del 2023, diretto da Catherine Breillat.
Siamo alle solite: quando un/una regista smette di inquadrare peni e vagine in primo piano, di mostrare sesso esplicito si parla di “normalizzazione”. Nel cinema di Catherine Breillat non c’è niente di normale. La regista, oggi 75 anni, ha superato i problemi di salute del recente passato tornando sul set; ha anche superato, ormai da tempo, la messinscena esplicita, erotica al limite del porno, dei titoli che l’hanno resa famosa, come L’adolescente e Romance, passando per il capolavoro A mia sorella! e per l’ultimo film “palese”, Pornocrazia. Dopo quella messinscena si è diretta verso una frontalità asciutta, stilizzata, fatta di piani sequenza e quadri fissi, vedere La Belle Endormie. Poi la pausa e il ritorno al cinema con L’Été dernier, titolo italiano Ancora un’estate, in sala dal 7 marzo 2024 per Teodora, che offre una rappresentazione a metà tra i primi e gli ultimi titoli. Attraverso le forme del film commerciale francese, qui Breillat toglie il sesso in primo piano ma mantiene l’eros e lo eleva all’ennesima potenza. Il film nasce come remake del danese Queen of Hearts di May el-Toukhy, 2019, con protagonista Trine Dyrholm, che il produttore Saïd Ben Saïd propose a Catherine Breillat (“Tu lo farai molto meglio”). La parte principale, per cui si era pensato a Valeria Bruni Tedeschi, viene affidata a Léa Drucker. La regista prende l’originale, lo riscrive e va da un’altra parte. È una storia semplice, un archetipo dell’erotico: c’è una donna matura, Anne (la Drucker appunto) che si avvicina al figlio di primo letto del marito, Théo (Samuel Kircher), diciassette anni, e con lui intreccia un’intensa relazione sessuale.
Va detto in premessa che Anne è un’avvocatessa per i diritti dei minori, come attesta la prima sequenza, difende giovani vittime di violenza e abusi, quindi il rapporto la coinvolge come una sorta di nemesi, un ribaltamento clamoroso dell’impegno quotidiano che la mette teoricamente nella posizione dell’abusante. Il marito è Pierre (Olivier Rabourdin), dirigente sfibrato, ricco ma ormai consumato dal lavoro. Il fuoco si accende nella casa di campagna: Théo è un ragazzo difficile, già arrestato, guarda le serie sul cellulare, si dice vegetariano finché non addenta un Big Mac, insomma è un adolescente di oggi. Gira spesso mezzo nudo e il suo aspetto efebico, garelliano, risveglia l’attenzione di Anne. La quale intrattiene col marito un rapporto freddo, dovuto; mentre scopano racconta un episodio di gioventù, quando s’innamorò di un amico della madre ma guardava le rughe e lo vedeva vecchio, prossimo alla morte, mentre aveva solo 33 anni. È una scena manifesto della Breillat, regista anti-realista, contro il naturalismo: come in Pornocrazia il sesso parlato serve per estrinsecare un sentire interiore e per dire altro. Qui che il corpo maturo del marito, il padre, non potrà competere col corpo fresco del figlio. La sequenza di sesso esiziale funge da presagio.
Lo stile di Catherine Breillat si è “depornizzato” ma di fatto non è cambiato. Guardate le scene di avvicinamento tra Anne e Théo: i due non rispettano la distanza sociale, iniziano a conoscersi ed entrano in contatto, si apprestano sempre più l’uno all’altra sino ad avvolgersi in un bacio voluttuoso. Che la regista inquadra: ecco la differenza, il marchio di Breillat che la distingue, lei non pone la dissolvenza sul groviglio di lingue ma ce lo fa vedere a lungo, perché è importante capire che si tratta di desiderio, carne, pelle, labbra e saliva. Se è vero che la regista ha espunto nudi integrali e peni penetranti, concede sempre all’accoppiamento il tempo che merita: è un atto lungo e la cinepresa segue rispettosamente la durata del rapporto, lo accompagna, col risultato che il sesso non è sbrigativo o ridicolo come nella maggioranza dei film.
Anne viene attratta dall’età acerba di Théo, un lolito che a sua volta rincorre la donna grande, la cerca, la preferisce alle coetanee. Detto chiaramente: Anne non seduce Théo ma la relazione è reciproca e consensuale, anzi spesso è il giovane a provocare la donna e innescare la danza delle mosse che porterà alla scopata. Ecco perché, se il film costruisce un amour fou nipote della Nouvelle Vague, non può che venire in mente un’opera oggi impossibile, L’immoralità di Massimo Pirri, con Samuel Kircher nel ruolo della dodicenne Karin Trentephol che provocava Howard Ross. Non siamo al livello di tale estremizzazione, la visione non è così esplicita, ma il concetto è lo stesso, si parva licet…
La seconda parte, poi, potrebbe sembrare più “politica”. Gli amanti si lasciano e lui confessa, ma Anne nega, sostiene che ha inventato tutto e ottiene la credibilità dell’ignaro marito (davvero ignaro?). Il racconto incrocia lo spirito del tempo proponendo un rovesciamento coraggioso e radicale: il ragazzo minaccia di denunciare la donna per abusi, proprio in virtù della minore età, lei si protegge con la conoscenza della legge. Lui la porta davanti a un avvocato, lei accetta un accordo, mettendolo in scacco. A questo punto la storia pare chiudersi, ma ecco l’ultimo incontro: notturno, travolgente, sessuale. Inizia con l’insulto e finisce nel coito. Ed ecco perché in realtà il presente non c’entra e si torna dritti sul corpo. Il finale è di nuovo carnale: non c’è norma che tenga, l’unica legge è quella del desiderio. È possibile un’attrazione sessuale vera e reciproca tra una donna e un ragazzo? Certo, non solo è possibile, ma va anche vissuta con libertà. Catherine Breillat, regista erotica, libertaria, è magnificamente fuori dal tempo: una donna può godere e un ragazzo con lei, lo dimostra la smorfia di piacere di Léa Drucker e il crescendo sfacciato di Samuel Kircher. Un film eversivo. Finalmente. Per farlo serve un’idea di cinema senza pregiudizi e una cinepresa capace di scivolare sulla superficie dei corpi.