
Animale
2024
Animale è un film del 2024, diretto da Emma Benestan.
Nejma (Oulaya Amamra) vive nella selvaggia Camargue, terra di tori e radicate tradizioni. Lavora nei manades, cavalca, doma le bestie come gli uomini, ma il suo vero sogno è entrare in arena come raseteuse, sfidando un mondo che non la vuole. Una notte cambia tutto: dopo un’esperienza febbrile e confusa, il suo corpo inizia a mutare. La realtà si deforma, la carne cede, l’istinto prende il sopravvento. Il confine tra donna e bestia si dissolve, trasformando la sua ribellione in un rito feroce di sangue e libertà. Diretto da Emma Benestan, Animale è prodotto da June Films e Frakas Productions, distribuito da Wild Bunch e RTBF. Uscito in Francia il 27 novembre 2024, in Italia è stato presentato al TOHorror Film Festival 2024 ed è ora disponibile sulla piattaforma Midnight Factory. Benestan, già apprezzata per Fragile (2021), abbandona la commedia romantica per intrecciare western, body horror e realismo magico in un racconto di emancipazione. Il film si inserisce nel solco di un cinema femminista e corporeo, accostabile a Raw (2016) e Titane (2021) di Julia Ducournau. Qui la metamorfosi è animale, radicata nei paesaggi fangosi della Camargue, dove la fiaba si trasforma in un rito di sangue e ribellione. Il toro chiamato Tuono è il riflesso di Nejma: prigioniero, ferito, senza via di fuga. Nella sua gabbia di legno si lacera volontariamente, aprendo squarci impossibili da rimarginare. È il suo stesso specchio: dolore e furia come uniche risposte a una violenza che lo divora.
Oulaya Amamra offre un’interpretazione fisica e brutale: il suo corpo è il campo di battaglia dove resistenza e cedimento si alternano fino alla metamorfosi definitiva. Accanto a lei, Vivien Rodriguez e Damien Rebattel incarnano due volti opposti della mascolinità: uno protettivo ma incastrato nelle stesse regole che opprimono Nejma, l’altro minaccioso, predatorio, espressione diretta della violenza che la circonda. Ma il vero nemico non è un uomo, bensì un ordine sociale che si impone come una muraglia, negandole scelte e spazio. La violenza che subisce è ovunque: nei corpi, nelle parole, negli sguardi che la marchiano. Non è la trasformazione a farne un mostro, ma il rifiuto di un mondo che la considera tale. Benestan fonde realismo crudo e simbolismo onirico, costruendo un’atmosfera densa e inquietante, in cui i tori non sono solo sfondo, ma presenze vive, specchi e presagi. Nei manades, la loro forza brutale, il respiro caldo, gli zoccoli che affondano nel fango riecheggiano il destino di Nejma, che nel corso della trasformazione si avvicina sempre più al loro stato primordiale. Il suo corpo si irrigidisce, i movimenti si fanno scattosi, l’aria intorno a lei si carica di minaccia. Il respiro cambia: dapprima affannato, poi corto, animalesco, come un ringhio trattenuto. La regia esalta questa metamorfosi attraverso un linguaggio corporeo oppressivo: primi piani soffocanti, movimenti irregolari di macchina che seguono il progressivo scollamento di Nejma dall’umano. La fotografia, terrosa e crepuscolare, non si limita a evocare l’ibridazione tra uomo e bestia, ma la inscrive nei corpi e negli spazi, nei riflessi negli occhi sgranati dei tori, nelle ombre allungate sui recinti.
La colonna sonora intreccia suoni diegetici – nitriti, respiri cavernosi, il vento che smuove la polvere – con pulsazioni sintetiche che scandiscono la metamorfosi. Il finale evita eroismi ed estetizzazioni: restano solo fango, sangue e grida, mentre la lotta per la sopravvivenza si compie in un confronto tra corpi, istinti e dominio. Se la metafora è potente, Animale rischia a tratti però di essere prevedibile. La narrazione segue un percorso troppo evidente, riducendo la sorpresa e creando distanza emotiva. Il simbolismo, spesso dominante, soffoca l’intensità del racconto, mentre l’horror, più estetico che inquietante, mostra più di quanto turbi. Il ritmo rallenta, la tensione si affievolisce e la metamorfosi perde forza. Tuttavia, ciò che manca in spettacolarizzazione si guadagna in realismo, rendendo la trasformazione di Nejma più cruda e disturbante. E quando tutto sembra tracciato, il plot twist finale ribalta le aspettative, restituendo alla storia il suo impatto. Emma Benestan usa il fantastico per raccontare il reale, reincarnando il mito del Minotauro in una donna che si riappropria violentemente di sé. Un ritmo più calibrato e un climax più teso avrebbero reso il film più coinvolgente e costante, evitando cali di tensione che talvolta distanziano lo spettatore. Eppure, Animale colpisce con la forza del suo realismo brutale. Un film che non consola, ma pesa addosso con la sua violenza primordiale, affondando nella carne come le corna di un toro in corsa.