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Apartment 7A

2024
Titolo Originale:
Apartment 7A
REGIA:
Natalie Erika James
CAST:
Julia Garner (Terry)
Dianne West (Minnie)
Kevin McNailly (Roman)

Il nostro giudizio

Apartment 7A è un film del 2024, diretto da Natalie Erika James.

Ve lo ricordate il personaggio di Terry in Rosemary’s Baby, interpretato da Victoria Vetri? Poco di una comparsa, ma anche presenza fondamentale, perché è la ragazza che si lancia dalla finestra e si uccide nel primo segmento del racconto, una giovane tossica ospitata degli anziani “diabolici” Minnie e Roman Castevet. Nella sequenza fugace, ma profondamente misteriosa, Mia Farrow vede il suo corpo agonizzante sull’asfalto. Da qui si parte per costruire il prequel, Apartment 7A rilasciato sulla piattaforma Paramount+, diretto dalla regista Natalie Erika James, che nell’era pandemica si era fatta notare con Relic. Quella scena che battezzava il capolavoro di Polanski qui è l’immagine finale, visto che la storia segue proprio la parabola di lei: Terry Gionoffro, che trova una raffigurazione credibile ed efficace in Julia Garner, attrice americana classe ’94 già vista nella serie Ozark e soprattutto in una perla ancora sconosciuta, The Assistant di Kitty Green. La parabola inizia a New York nel 1965, tre anni prima dell’originale polanskiano. La giovane rincorre il grande sogno di fare la ballerina, è abbastanza brava finché un infortunio non la frena: diventa nota come “la ragazza caduta”, ossia colei che aveva ottime potenzialità frenate però dalla mano del fato.

La caviglia inizia a scricchiolare e Terry fatica ad essere scritturata, anzi viene sistematicamente respinta. Vagando per le strade della Grande Mela, mediamente disperata, si imbatte in una coppia di vecchi coniugi: Minne e Roman (Dianne West e Kevin McNailly), proprio loro, che gli esegeti di Rosemary’s riconoscono subito. Gli anziani si mostrano molto accoglienti, del resto vivono soli, non hanno avuto figli ma vogliono sentirsi genitori, quindi accolgono la sperduta Terry nel loro comprensorio: siamo già nello storico palazzo, denominato Bramford, che nel prototipo era il celebre Dakota Building. E si piomba dentro la maledizione: la vita di Terry comincia inspiegabilmente a migliorare, ottiene parti per infortuni delle rivali (tra cui una ballerina che si “incarta” in stile Suspiria, quello di Guadagnino), la caviglia migliora, tutto si rasserena. Così sembra… ma non è.  Il racconto incontra lo spirito del tempo, con la giovane pesantemente bullizzata da un impresario teatrale che prima la umilia, invitandola a fare il verso del maiale, e poi la accoglie in casa sua per un cocktail, che le fa perdere i sensi; quando sospettiamo il classico infame abuso, però, la situazione prende una piega differente.

La giovane sì ritrova incinta, certo, ma non per il rapporto inconsapevole col maschio tossico bensì per l’inseminazione della setta di adoratori del Maligno. Cosa porta in grembo, inutile specificare. Ecco dove si vuole parare: Terry ovviamente è la prima Rosemary, la Garner una Farrow ante litteram, insomma rappresenta il tentativo primario di partorire il figlio di Satana. Qui si apre l’horror puro: dopo i consueti segnali il film tenta la deriva immaginifica lasciando emergere la zampa caprina del diavolo, con la protagonista perseguitata sia in sogno che nella realtà. Il risultato è altalenante: a tratti riesce nell’intento, seminando inquietudine fino a una specie di paura, a tratti si consegna al jumpscare e ai soliti trucchi del genere. Il paragone è impossibile e fuorviante, ovvio, ma laddove Rosemary’s Baby era un’opera oscura, piena di mistero, enigmatica dopo i titoli di coda, questo è un film chiaro, affermativo dove tutto è spiegato e ricostruito. Un prequel commerciale diretto dignitosamente e ben interpretato. Finora il cult di Polanski aveva avuto un sequel grottesco, anche se pochi lo sanno (Guardate cosa è successo al figlio di Rosemary, regia Sam O’Steen, film per la Tv del 1976) ma mancava il tassello precedente. Fatto per Il presagio, andava colmata anche questa lacuna. La cosa migliore: la danza finale di Julia Garner sulle note di Be My Baby delle Ronettes, ovvero la ragazza del demonio.