
Berlino, estate ’42
2024
Berlino, estate ’42 è un film del 2024, diretto da Andreas Dresen
Più che un titolo, Berlino, estate ’42 parrebbe piuttosto l’incipit di sceneggiatura. Se, tuttavia, l’italica distribuzione sembra aver optato per una nomenclatura capace sin da subito di stringere geograficamente e temporalmente il focus del discorso sul delicato prologo della breve ma intensissima love story all’ombra del nazismo che ha – realmente – visto protagonisti i ribelli Hilde Rake (Liv Lisa Fries) e Hans Coppi (Johannes Hegemann), con quell’originale e ben più evocativo In Liebe, Eure Hilde il prolificissimo Andreas Dresen ha voluto piuttosto incentrare il suo ventottesimo lungometraggio sulla preannunciata tragica fine di questa Cronaca di poveri amanti. La Cronaca di un amore nato quasi per caso al principio della stagione politicamente e climaticamente più calda di un autentico annus horrilis ma capace comunque di sbocciare e altrettanto intensamente bruciare per l’effimero tempo di una fioritura; riuscendo addirittura a dare il proprio speranzoso frutto malgrado il lento appassire dei propri semi. Quel prezioso frutto che, in un finale dalla portata decisamente poetica, ormai ottantenne e per sua stessa commossa voce ci farà comprendere quanto combattere voglia dire, a volte, inforcare qualcosa di ben diverso da una Luger o da una baionetta. D’altronde, se è vero che non esistono combattenti da trincea o da salotto ma solo individui che combattono per uno scopo, allora anche un post scriptum o una firma in calce a una lettera di commiato possono acquisire la medesima forza distruttiva della più micidiale delle armi, no?
È un incedere asincrono quello scelto da Laila Stieler nel dar forma al secco seppur appassionato script di Berlino, estate ’42. Un doppio livello di narrazione che, in primis, tenta di ricostruire a ritroso quei Frammenti di vita amorosa – gli stessi di quel lungo e celebre flashback con il quale François Ozon tentava di riavvolgere cause ed effetti della Fine di una storia – che portarono al fatale incontro e all’altrettanto fatidico si tra una timida assistente odontoiatrica e un giovane membro del gruppo di resistenza antinazista denominato “Orchestra Rossa”; dedito al dispaccio radiofonico da e verso l’Unione Sovietica. Ma così come già preannunciato dallo stesso sibillino titolo originariamente scelto da Dresen, la spina dorsale di questo dramma bellico senza pallottole o cingolati si trova per lo più soffocata tra le gelide e decadenti mura del carcere femminile di Barnimstrasse. Una clinica-prigione nella quale la coraggiosa Hilde verrà spedita con l’accusa di cospirazione e dove, in attesa dell’inevitabile condanna a morte giunta Nel mezzo di un gelido inverno, riuscirà a dare alla luce quell’amato figlio il cui nome verrà scelto proprio per onorare la memoria di un – seppur per poco – marito anch’esso costretto a pagare con la vita il prezzo dei propri sovversivi ideali. Malgrado le sue intense due ore di durata – passate per lo più a scandagliare l’inizio e la fine della Storia di un matrimonio –, Berlino, estate ’42 è in realtà il racconto di un colpo di fulmine che, con la stessa rapidità di un colpo al cuore, pur senza dare troppo spazio a ciò che accade al di fuori di questo ristrettissimo legame riesce comunque a convertire il dramma dei singoli in un insegnamento di portata universale.
Un principio etico in verità già sollevato, giusto vent’anni orsono, da Marc Rothemund con La Rosa Bianca – Sophie Scholl e che, vuoi per assonanza tematica o parallelismo storico, anche il buon Dresen pare deciso non certo casualmente a (ri)mettere nero su bianco con fredda e brutale onestà. Abituato come pochi a filmare senza filtri ideologici né stucchevoli pudori l’intimità dei propri personaggi – così come avvenuto con la schietta cronaca senza filtri né veli del travolgente amore geriatrico protagonista di Settimo Cielo –, il versatile cineasta tedesco mette dunque in scena un kammerspiel che, almeno dal suo secondo straziante atto sino all’asciutto ed egualmente raggelante epilogo, sceglie di mettere da parte la grande Storia e la Politica con la P maiuscola per concentrarsi, piuttosto, sul dramma da cella di una moglie, di una madre e, pur nel suo piccolo, di una partigiana. Una combattente fatta e finita, il cui unico scopo sarà quello di garantire non la propria sopravvivenza ma, piuttosto, quella del frutto del proprio grembo. Un istintivo, amorevole e del tutto disinteressato do ut des messo in atto dietro le sbarre e fra le gelide camerate di un limbico Miglio Verde dove medici senza scrupoli, secondini dal muso duro ma dal cuore tenero, cappellani rassegnati quanto le stesse vittime alle quali sono chiamati a portare confronto e l’intenso seppur ormai lontano ricordo di quei dolci amplessi consumati all’ombra d’impacciati messaggi in codice Morse saranno solo alcuni dei duri, impietosi e più che mai fondamentali tasselli di quel variegato nonché appassionante puzzle umano che è Berlino, estate ’42. D’altronde, come si suol dire in questi casi, se eroico vuoi apparire, assai devi soffrire; in guerra così come in amore.