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Blink Twice

2024
Titolo Originale:
Blink Twice
REGIA:
Zoë Kravitz
CAST:
Naomi Ackie (Frida)
Alia Shawcat (Jesse)
Channing Tatum (Slater King)

Il nostro giudizio

Blink Twice è un film del 2024, diretto da Zoë Kravitz. 

C’è già chi comincia a parlare di Metoo-thriller come vero e proprio sottogenere dei tempi moderni per etichettare una serie di opere che esaltano figure femminili che reagiscono alle prevaricazioni del patriarcato. Se il meccanismo in realtà non fa altro che innovare e nobilitare le già palesi metafore femministe presenti nei vecchi slasher, non c’è dubbio che la nuova sensibilità nei confronti degli scandali sessuali esplosi nel mondo dello spettacolo e dell’imprenditoria plasma lo sguardo e l’approccio dentro il genere, vero e proprio catalizzatore delle scosse sussultorie dell’oggi. Sensibilità che viene supportata dal recente slancio, all’interno dell’industria cinematografica, di una nuova e promettente leva di donne che sempre di più assumono il ruolo di autrici, sia nella scrittura o nella regia, e che donano un punto di vista inedito e necessario. L’esordio registico dell’attrice Zoë Kravitz, figlia del cantante Lenny e dell’attrice Lisa Bonet, si incastra come da manuale in questa griglia, prendendo coraggiosamente come ispirazione le vere vicende che hanno coinvolto il miliardario Jeffrey Epstein e il suo entourage di personaggi celebri, dediti ad abusi sessuali, nell’isola privata di Little Saint James.

In Blink Twice il setting è esattamente quello delineato dal fatto di cronaca citato: Frida e Jess (rispettivamente Naomi Ackie e Alia Shawcat) incontrano il miliardario filantropo Slater King (Channing Tatum, ai tempi compagno della Kravitz) in una festa esclusiva. King, ammaliato da Frida, invita le due ragazze a unirsi a lui per una vacanza da sogno sulla sua isola privata insieme a un gruppo di personaggi più o meno bizzarri. La lussuosa permanenza nella magione procede con balli, regali costosi, cibo raffinato e droghe di vario genere, ma l’idillio si spezza quando Jess viene morsa da un serpente e il giorno dopo scompare e non solo fisicamente, in quanto sembra essere stata completamente rimossa dai ricordi di ognuno sull’isola. Con l’aiuto di una domestica, Frida scava a fondo nella vicenda per scoprire delle orrende verità.

Mescolando gli echi estetici di Glass Onion con le paranoie sociali di Get Out, Kravitz indirizza il suo primo lungometraggio su un binario scosceso, difficile da intraprendere, con le ambizioni di creare un thriller che per almeno metà film deve creare inquietudine tramite il non visto e il non detto, usando abilmente i dettagli (la sparizione del coltello) per insinuare nello spettatore la presenza dell’assenza, elemento che diventa una cifra stilistica nel montaggio, in cui le ellissi e le incidentali (“perché stiamo correndo?”) manipolano, come faceva anche Jordan Peele nel suo film prima citato, la percezione della realtà, provocando lentamente disagio. Il risultato è un apologo sul potere manipolatorio del patriarcato, con una serie di ritratti degradanti di uomini comuni che, nel migliore dei casi, peccano di ignavia o, nel peggiore, abusano della propria posizione. Paradossalmente i personaggi maschili sembrano avere un impatto maggiore sullo schermo, grazie a una scrittura che riserva loro maggiore attenzione, a supporto di un parco attoriale che vede, oltre a Tatum, Haley Joel Osment (il bambino de Il sesto senso), il redivivo Christian Slater e il sorprendente cameo di Kyle MacLachlan nei panni di uno psicologo coinvolto nei giochi. Se l’aspetto thriller è sicuramente quello più riuscito, con un primo tempo costruito pacatamente sull’attesa e un secondo sulla tensione e l’azione, molto meno convincente è la critica sociale. Le ambizioni del film vengono ampiamente sminuite da un finale contraddittorio, che sembra voler ridurre la lotta femminista a un mero rovesciamento dei ruoli.