Brividi d’autore
2023
A dir poco eccentrica è la struttura di Brividi d’autore di Pierfrancesco Campanella, che risfodera il concetto dell’omnibus, cioè del racconto a episodi legati da una cornice, proponendone una variazione suggestiva e, per quanto io riesca a storicizzare, inedita. Non che nei precedenti film del regista l’inclinazione a narrare secondo regole eterodosse non fosse presente, ma qui la composizione a puzzle complesso tende ad assolutizzarsi. Maria Grazia Cucinotta (54enne bella ed efficace ad un punto davvero impressionante) è una regista che l’indomani di un colossale flop, cerca di risalire la china scrivendo soggetti per il suo prossimo lavoro. L’incipit la vede prigioniera di qualcuno vestito di rosso che indossa una maschera di Frankenstein, dalle cui grinfie lei è riuscita, però, a fuggire grazie a un salvifico Zippo con sopra impressa l’immagine di un ragno. Questo pregresso traumatico emerge disseminando i sospetti della nostra nei confronti di coloro con i quali, a vario titolo, si trova ad avere a che fare: c’è uno psichiatra (Adolfo Margiotta) che l’ha in terapia; c’è un’amica, Gioia Scola, che potrebbe produrre il suo prossimo film; c’è un altro produttore, Franco Oppini, responsabile di arbitri compiuti sull’ultimo lavoro della regista che si era trasformato in un metaforico bagno di sangue. E ci sono altre figure, tra cui un ex marito (Sebastiano Somma) apparentemente amiche che potrebbero celare, diciamo così, lati taglienti.
Tale, dunque, è la cornice in cui vanno innestandosi dei minifilm, ciascuno con un titolo, che danno corpo alle idee che la Cucinotta scrive come altrettanti soggetti da sottoporre ai suoi interlocutori. Si comincia con L’Amante perfetta, al centro del quale c’è una velenosissima femmina di ragno (che narra la faccenda in voice over) protagonista di un caso di aracnofilia che esita nell’uscita di testa di Nicholas Gallo, il proprietario della preziosa bestiola. Qui, come negli altri segmenti, il filo conduttore è quello dell’inganno, che nel successivo racconto-soggetto, L’idea malvagia, si sviluppa con una serie di matrioske, in cui tutti fregano tutti, a cominciare dalla protagonista, Elisabetta Pellini, una celebre attrice di horror circondata da un nucleo di amici & parenti serpenti a dir poco (tra i quali Nadia Bengala e Roberto Posse). Campanella si autocita mercé una squadra usata come strumento di morte e più in generale i giochi interni e gli autorimandi al cinema del regista sono costanti e abbondanti. L’intrigo si fa più complesso allorché la stessa Cucinotta fluidifica anche come attrice nei propri soggetti: accade in Sacrificio disumano, dove la cerchia della protagonista presa in un gorgo di annientamento – c’è di mezzo un figlio sparito nel nulla un anno prima –, getta la maschera di un complotto dai risvolti satanici che rimanda a Polanski (qui compare anche la brava Francesca Nunzi nella parte di una psicologa).
Gli ultimi due episodi, Solitudini pericolose (diretto da Emanuele Pecoraro) e Pensiero giallo, trattano di una vendetta tremenda vendetta, con toni horror e cannibalici, perpetrata da Elisabetta Rocchetti contro Antonio De Matteo che ha commesso l’errore di stuprarla, e degli incastri hitchockiani tramite i quali una scrittrice di gialli, lesbica, Luciana Frazzetto, accumula cadaveri involontariamente mentre cerca di trovare la fine del proprio ultimo romanzo. Va da sé che si attende un epilogo, un fulmine in coda, all’altezza dei continui ribaltamenti di prospettiva su cui il tutto è giostrato e le aspettative non vengono deluse, allorché la regista, che si è rotta di andare a mendicare udienza e di pietire quattrini a destra e a manca, decide di passare, sanguinariamente, all’azione con l’aiuto dell’amica (e mano armata) Emy Bergamo. Scritto dallo stesso Campanella insieme a Lorenzo De Luca, Brividi d’autore riesce allo stesso tempo sorprendente e divertente, uscendo dal solco delle solite storielle italiote di genere, che nascono e muoiono intorno nulla. La regia è elegante e non tira né a strafare né a perdere tempo, altro merito non da poco. Inoltre, ha la preziosità di frammenti filmici di Marco Ferreri intercalati alla narrazione, perché Ferreri è il regista feticcio del personaggio della Cucinotta, così come lo è di Campanella. Bravi tutti.