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Campo di battaglia

2024
REGIA:
Gianni Amelio
CAST:
Alessandro Borghi (Stefano)
Gabriel Montesi (Giulio)
Federica Rosellini (Anna)

Il nostro giudizio

Campo di battaglia è un film del 2024 diretto da Gianni Amelio.

Qual è il dovere di un medico? Uccidere o guarire? È quello che si chiedeva Robert Jay Lifton nel suo pregevole libro ‘I medici nazisti’, e che si domanda – almeno nella prima parte – Gianni Amelio in Campo di battaglia, il film presentato in concorso, qui, alla Mostra del Cinema di Venezia. Siamo nel ’18 e sta per concludersi la Grande Guerra, quella dei morti di dissenteria nelle trincee, quella della generazione perduta, del gas mostarda e della guerra dei sottomarini. La vittoria è vicina nel grande orologio della Storia, ma per due ufficiali medici di un ospedale militare la conclusione tarda ad arrivare, troppo presi nella bulimia di pazienti soldati da curare e rimandare al fronte. C’è una guerra civile e fratricida tra il rigidissimo Stefano (Gabriel Montesi) e il flemmatico dal ghigno enigmatico Giulio (Alessandro Borghi), una tacita partita a scacchi tra due amici e colleghi: Stefano che, preso da una ottusa intransigenza bovina (mascherata da patriottismo), insiste per rimandare dei veri e propri disabili in guerra; mentre Giulio, tra le pieghe dei suoi silenzi, fa di modo e maniera di salvare i soldati dal fronte attraverso l’autolesionismo e dolorosi escamotage. Un crudele deus ex machina, ma pur sempre uno spiraglio di luce per dei soldati stremati dalle condizioni della guerra.

È una prima parte avvincente nella sua calma, uno scontro tra menti e ideologie distanti che solleva bellissime domande e riposte difficili quanto dolorose.
Peccato, però, che nella seconda parte Amelio si concentri così tanto sulla febbre spagnola da dimenticare l’assunto di base del film. Diventa allora una ‘corsa all’olocausto’ personale, la ricerca spasmodica di una cura a un virus da parte di Giulio (che è un biologo, principalmente) che ha tante e troppe similitudini col Covid (parlare di Covid nel 2024 è fuori tempo massimo) portando il film d’Amelio a incartarsi completamente su se stesso. A complicare la situazione c’è il triangolo tra i due e l’infermiera Anna (Federica Rosellini che interpreta sempre se stessa), dapprima ferma sostenitrice dei metodi di Stefano (pare il tipico primo della classe che non fa copiare i compagni) poi, folgorata sulla via di Damasco, ferma ancella del buon Giulio. In uscita in sala il 5 settembre con la 01 Distribution, Campo di battaglia imbastisce delle ottime premesse (quasi elettorali) per rivelarsi un’opera che non ha il coraggio di indagare a fondo sulla natura umana, sia di Stefano che di Giulio, su quale sia il compito dei medici e il loro complesso di Dio, di come i media abbiano sempre plasmato la realtà e di cosa si è disposti a fare per tornare a casa.

D’altronde, lo stesso Jean Genet nelle sue memorie parlava di ragazzi e bimbi che pur di scappare dalle case di correzione iniziavano a ingoiare vetro e chiodi, figurarsi cosa si è disposti a fare pur di tornare nella propria heimat, quella patria che è solo il ventre materno di casa propria e non gli interessi politici ed economici di un branco di criminali al potere. Tratto dal libro “La sfida di Carlo Patriarca”, Campo di battaglia vuole essere crudo e asettico da una parte, e dall’altra tenta di essere profondamente umano nella sua carrellata di corpi celesti feriti, costretti a immolarsi per cosa, o per chi, i soldati nella loro pastorale ignoranza non lo sanno. Una torre di babele di dialetti in una Italia unita, all’epoca, da poco più di mezzo secolo e già così divisa negli intenti e nella morale. Peccato che le interpretazioni sottotono di Montesi (su cui stendo una sacra sindone) e Borghi che quando non può fare il ‘cuozzo’ romano sfodera la voce di Stefano Cucchi – a questo giro in salsa veneta – rendano l’ultimo film di Gianni Amelio una vittoria mutilata.