Detective Marlowe
2022
Detective Marlowe è un film del 2022, diretto da Neil Jordan.
Beato il genere che non ha bisogno di eroi. E beato piuttosto quello che, come il noir, sugli (anti)eroi ha costruito la propria intera fortuna. In un’epoca dominata dai post e dai neo, nella quale il passato viene sempre più masticato e risputato con tarantiniana nonchalance, mentre quel sornione di Daniel Craig sembra già ben avviato nel rinfrescare a tinte pulp l’ormai quasi secolare architettura del giallo classico grazie all’irriverente Kinives Out di Ryan Johnson – in barba al crepuscolare Maigret di Patrice Leconte, così come al complessato Poirot di Kenneth Branagh –, quel pazzo irlandese di Neil Jordan ha ben pensato di smarcarsi da mode e tendenze 3.0, tornando dritto dritto alle cupe e fumose origini del più americano (ed antieroico) dei generi. Ma se di antieroi bisogna dunque parlare, è bene chiamare in causa colui che dell’anti-eroismo in giacca, cravatta e borsalino ne ha da sempre fatta, ancor pima che una questione di chiacchiere e distintivo, una vera e propria ragion d’essere. Non certo un antieroe qualsiasi, questo è certo, ma bensì quel ruvido, immusonito e tabagista Philip Marlowe partorito dalla penna hard boiled del mitico Rymond Chandler e in seguito consegnato per sempre al Pantheon della celluloide grazie agli iconici volti di George Sanders, Dick Powell, Elliot Gould, Robert Mitchum, James Caan e dell’unico immortale Humphrey Bogart.
Un’eredità non da poco quella che il granitico e disilluso Liam Neeson si trova a dover raccogliere in questo nuovo Detective Marlowe, mettendo momentaneamente da parte l’ormai proverbiale sete di vendetta nei confronti di quei cattivoni da cartolina che, di titolo in titolo, negli ultimi anni hanno continuato imperterriti a invocare dolorosa morte sequestrandogli sotto l’aquilino naso mogli, figlie, genitori e criceti, per immergersi stavolta in una torbida storia di ricatti, omicidi, fumo di sigarette e parecchie pallottole, ambientata nientemeno nella glitterata Los Angels di fine anni ’30; non certo nebbiosa quanto la tradizione esigerebbe ma ugualmente bagnata, se non dall’immancabile scenografica pioggia, da sordide e insidiose amenità. E come ogni buon nerissimo copione poliziesco comanda, il tutto non può che avere inizio da quella tremolante fiammella zampillata, con erotico aplomb, dal prezioso accendino dell’immancabile femme fatale di turno che, nel succinto figurino della ricca ereditiera Clare Cavendish (Diane Kruger), proprio al nostro cinico detective privato ha scelto di rivolgersi per far luce sulla misteriosa morte del di lei amante Nico Peterson (François Arnaud), ritrovato con il cranio sfondato giusto di fronte all’esclusivo Corbata Club gestito da un loschissimo figuro che risponde al nome di Floyd Hanson (Danny Huston).
Inutile dire che i proverbiali sensi di ragno del nostro scaltro investigatore inizieranno fin da subito a solleticare L’ombra del dubbio, soprattutto quando le sospette attenzioni dell’ormai stagionata attrice Dotothy Quincannon (Jessica Lange), madre della bella e misteriosa Clare, e le tutt’altro che velate minacce dell’altolocato signore della droga Lou Hendricks (Alan Cumming) non potranno che mettere in discussione la reale e truculenta dipartita del decapitato dongiovanni, scoperchiando via via tutto il marcio che parrebbe covare all’ombra della luccicante insegna di Hollywoodland; ingarbugliando e sfilacciando sempre più il corposo tessuto narrativo di un mistero che, anche senza i soliti falchi o cadaveri scomparsi, non potrà che finire, come da manuale, per naufragare nel dolce mare dello spleen . Concepito di fatto come un onesto omaggio al genere stesso e al nome che, più di ogni altro, ha avuto l’onere e l’onore di consegnarlo agli allori del mito, Detective Marlowe rispecchia in tutto e per tutto i macchinosi stilemi e il sonnacchioso mood del più tipico dei racconti noir, infarcendo il fosco microcosmo di personaggi ombrosi e moralmente equivoci intenti a barcamenarsi, per quasi due ore, in meschini doppi e triplici giochini, aggiungendo sempre più tasselli a un intricato puzzle per poi rimescolarli nuovamente a suon di plot twist e cambi di prospettive, senza che nulla, così come da cara vecchia tradizione, finisca mai per tornare del tutto. Nonostante sembri davvero parecchia, la carne che il buon Jordan sceglie di mettere lentamente a rosolare sul fuoco della detection, attraverso la propria raffinata quanto discreta regia, si rivela, a conti fatti, meno grassa e polposa di quanto potrebbe apparire; sicuramente gustosa e saziante ma non certo paragonabile a controfiletti d’annata cucinati da leggendari chef quali John Huston, Howard Hawks e Fritz Lang. Ma non è certo sui paragoni che un’opera come Detective Marlowe basa la propria solida seppur non certo fresca impalcatura, quanto piuttosto su di una forma indubbiamente elegante quanto i gessati e i tailleur che fasciano i bidimensionali caratteri dei suoi personaggi, a supporto di una sostanza che, da che cinema è cinema (e da che gusto è gusto), va presa o lasciata senza mezzi termini o misure, così da scongiurare per tempo il fisiologico ed insidioso Grande sonno che potrebbe finire per cogliere a tradimento i meno avvezzi a whisky, pupe e pistole.