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Diamanti

2024
REGIA:
Ferzan Özpetek
CAST:
Luisa Ranieri (Alberta Canova)
Jasmine Trinca (Gabriella Canova)
Vanessa Scalera (Bianca Vega)

Il nostro giudizio

Diamanti è un film del 2024 co-scritto e diretto da Ferzan Özpetek.

Delusioni d’amore che si mutano in dolore, relazioni amorose tossiche al punto di provocare gesti disperati, gravi lutti mai elaborati, diffusa disfunzionalità familiare: il coro di donne che si muove all’interno di una grande sartoria specializzata in costumi per il cinema e il teatro è portatore di tutto questo e anche di più, solo le amicizie riescono a farsi solidali e a rappresentare una vera ancora di salvezza. Sono i temi affrontati da Ferzan Ozpetek in questo suo nuovo film, il quindicesimo, Diamanti che, per certi versi, potrebbe ricordare Le fate ignoranti: anche qui un coro, ma con la possibilità di farvi emergere in mezzo figure e momenti che possono aspirare al primo piano, come le due sorelle proprietarie della casa di moda, Alberta e Gabriella Canova, Luisa Ranieri e Jasmine Trinca immense interpreti, fortemente concentrate sui loro sentimenti feriti ma anche capaci di esprimere emozioni autentiche, sia nella delusione amorosa di Alberta, ancora presente attraverso una crisi personale che consente di dar rilievo al suo carattere, sia nella rappresentazione del lutto di Gabriella che, pur sfiorando atteggiamenti estremi, nel clima di solidarietà che la avvolge alla fine sembra trovare la forza di rinascere. La storia si sviluppa attraverso immagini calde, rielaborate con attenzioni figurative di raffinata opulenza, e con un commento musicale ora tutto dolenti note malinconiche (intense le melodie di Giuliani/Travia, coautori anche del brano di Giorgia dal titolo omonimo del film), ora con echi di passione pop (Mina e Patty Pravo), e con una interpretazione, in tutte, di solida efficacia: da una intensissima Milena Mancini ai tratti umani di Paola Minaccioni, le altre, di sfondo, da Sara Bosi a Carla Signoris, non sono da meno.

La raffinata e anche abile maniera del regista finisce con il posizionarsi in una sorta di giostra dei sentimenti e delle emozioni, espressione dell’ interessante campione d’umanità femminile proposto allo spettatore: donne in coppia e single, fedeli e traditrici, immerse nella complessità del quotidiano. Le figure maschili o fungono da mero contorno estetico (ruolo riservato spesso alle donne), come gli aitanti giovani che con vari pretesti di tanto in tanto irrompono nella scena, o rappresentano l’anello debole, sul lavoro, nelle relazioni, in famiglia. Il carico da novanta lo hanno sempre le donne, e questo le rende aghi delle bilance delle loro esistenze. Ferzan Ozpetek con Diamanti ha realizzato il suo film più rischioso, per il coraggio di esporre i sentimenti allo stato puro, costringendo lo spettatore a riflettere senza mediazioni consolatorie sull’amore e l’amicizia, il dolore e la morte, le separazioni, la genitorialità, i distacchi. Altrove i sentimenti erano sì centrali, però Ozpetek vi giungeva attraverso intrighi complessi: qui i dialoghi realistici e accurati inquadrano le situazioni al punto giusto, concedendosi addirittura momenti di humour. Tra gli altri meriti della sceneggiatura c’è senza dubbio quello di avere compattato in un lavoro corale un cast di formazione eterogenea, dove attori (pochi) e attrici (tante) di provata esperienza riescono a raccontare in maniera equilibrata il loro piccolo film, rendendo progressivamente sempre più organici gli intermezzi in cui il regista e le attrici, nel ruolo di loro stessi, parlano del film immaginando scene e battute.

Özpetek racconta il mondo delle donne mostrando di conoscerlo bene, attraverso una equilibrata struttura corale, che fin dalla prima scena riunisce intorno a un grande tavolo (di una accogliente casa romana, altra sua cifra stilistica) i personaggi di cui seguiremo le vicende spesso drammatiche, riuscendo a coinvolgere nel meccanismo del film anche gli spettatori. Certo, l’ amicizia che aiuta a superare le difficoltà è un sentimento che anche lo spettatore vorrebbe far suo, ma la qualità più interessante del film non è questo ritratto sentimentale della vita, che pur mantiene una sua dignità senza mai cadere nel patetico, o peggio, nel melenso, quanto la voglia di Özpetek di misurarsi con un linguaggio visivo più personale. A questo proposito, aver ambientato il film in una sartoria cinematografica, oltre ad essere un grande omaggio al favoloso mondo dei costumisti, rivela un’ambizione estetica non scontata nel cinema italiano. Che insieme a una notevole direzione di attrici (una rivelazione Geppy Cucciari, una bella conferma Lunetta Savino e Milena Vukotic) fanno guardare a Özpetek come a un esperto mago del mondo di celluloide.