Downrange
2017
Downrange è un film del 2017, diretto da Ryûhei Kitamura
Non c’è niente da fare, bisogna avere il coraggio di dirlo: Ryûhei Kitamura è un figo! Lasciamo stare che i suoi film sono sempre un po’ sciocchini e si reggono su sceneggiature che non hanno una pretesa in più di quello che vogliono mostrare, ma il risultato sullo schermo e qualcosa che lascia sempre a bocca aperta. Tra l’altro, il Kitamura americano è di gran lunga più interessante di quello giapponese. Vogliamo mettere film come Prossima fermata: l’inferno e No One Lives rispetto ai pur apprezzabili Versus, Alive, Aragami, Azumi e via dicendo? Il cinema di Ryûhei Kitamura è fatto di compiacimenti stilistici, paradossi visivi e predisposizione all’eccesso; virtuosismi a volte fini a se stessi che, volendo, potrebbero considerarsi sia pregi sia difetti, ma che, allo stesso modo, garantiscono sempre uno spettacolo pregno di adrenalina. Non fa eccezione Downrange. La storia è dello stesso Kitamura e di Joey O’Bryan, con il quale aveva già scritto nel 2014 una personale visione dell’eroe di noi bambini, Lupin III; ma, in fondo, la cosa è a dir poco superflua. Perché della storia a Kitamura frega poco o niente, o per lo meno gli frega nella misura in cui può mettere in scena tutte le sue diavolerie e soddisfare il proprio gusto per la visione estrema. Un gruppo di amici in vacanza attraversano le strade deserte e cotte dal sole della provincia americana. A un certo punto una gomma esplode e la macchina sbanda finendo fuori strada.
Per fortuna i giovani non si fanno male e provano subito a rimettersi in viaggio. Mentre uno di loro cambia la gomma, un’altra cerca disperatamente il segnale con il cellulare. In quella parte del mondo non c’è campo, come è giusto che sia. Poi la rivelazione. La gomma non è stata bucata da qualche sasso finito sulla carreggiata o altre cause naturali, ma da un proiettile che è ancora conficcato nello pneumatico. Il giovane che stava armeggiando con il crick non fa tempo a dare la notizia che la sua testa esplode in un geyser di sangue e materia cerebrale. Poi tocca alla ragazza col cellulare perdere un occhio per un colpo in arrivo che le trapassa il cranio. Sotto shock, gli altri ragazzi si nascondono dietro la macchina, mentre una raffica di proiettili trasforma la carrozzeria in uno scolapasta. Qualcuno in agguato li ha presi di mira. Uno sniper in tuta mimetica nascosto tra i rami di un albero li tiene sotto tiro e aspetta solo il momento giusto per seccarli uno dopo l’altro. Questa, in soldoni, la trama e ci siamo sprecati fin troppo. A Kitamura non interessa dare senso alla narrazione ma piuttosto dare corpo alle proprie ossessioni. I proiettili che esplodono in soggettiva sui corpi dei giovani, i piani sequenza spericolati che danzano con le vittime come lupi intorno ad agnelli, la macchina da presa che si fa strada tra le carni maciullate dei cadaveri scomposti sull’asfalto.
C’è un momento in cui una vettura, casualmente giunta sul luogo del massacro, perde il controllo e si ribalta su corpi smembrati dei giovani, maciullandoli ulteriormente, che fa venire voglia di alzarsi dalla poltrona e cominciare ad applaudire. Kitamura se la ride – e fa bene – di questo assurdo gioco del gatto coi topi e per fortuna non cerca di dare alcun senso e alcuna spiegazione. Tranne forse quella della beffa (sicuramente nel finale), che nasconde il desiderio di intrattenere, atterrire e disgustare lo spettatore come solo lui sa fare, anche con pochi dollari a disposizione. Perché con Downrange Kitamura torna al cinema indipendente dopo una lunga parentesi a servizio delle major (sia Prossima fermata: l’inferno che No One Lives sono prodotti Universal) e riscopre ancor di più quella voglia di stupire che l’aveva elevato all’attenzione mondiale con Versus. Il risultato è a dir poco entusiasmante. Vedere Downrange è come trovarsi in cima a montagne russe impazzite e scoprire di non avere allacciato la cintura di sicurezza. Siete avvertiti.