Dream Scenario
2023
Dream Scenario è un film del 2023, diretto da Kristoffer Borgli.
Paul Matthews è un professore di biologia: anonimo, didattico, spiega l’evoluzione della zebra e sogna di scrivere un libro sull’essenza delle formiche. Paul appare nei sogni della gente. Comincia all’improvviso a comparire nello scenario onirico di molte persone insieme: non fa niente di particolare, il suo è un cameo, passeggia, è uno di passaggio. È di fatto ininfluente, inutile, immobile come nella vita di routine che svolge insieme alla famiglia. Lascia però una cosa fondamentale: l’immagine. La figura di se stesso. Così inizia Dream Scenario, il film del norvegese Kristoffer Borgli dal 16 novembre in sala, o meglio ancora inizia con un sogno, sognato dalla figlia di Paul, in cui il padre si rivela un inetto. Ma Paul diventa famoso, tutti l’hanno visto, lo riconoscono da svegli, hanno un déjà-vu: e famoso oggi significa virale, condiviso su Facebook, Instagram e TikTok, Paul diventa un meme. Smette di essere come la zebra che divulga, non si mimetizza più nel branco e ora i leoni lo possono attaccare. Tutti lo cercano, le riviste lo intervistano ma lui, insiste, fa il biologo e non vuole diventare famoso, vuole solo scrivere il suo libro. Quando l’agenzia guidata da Michael Cera lo riceve, gli propone una pubblicità onirica con una bibita in mano, occulta, per provocare un inception in chi sogna e aumentare le vendite. Paul rifiuta, ma ormai è nella mente di tutti.
Poi però qualcosa cambia. Da personaggio positivo, uomo dei sogni, figura innocua, il docile Paul diventa signore degli incubi, perché le persone – soprattutto donne – iniziano a sognarlo nell’atto di commettere violenze, stupri e omicidi. Il sogno sessuale, con eiaculazione precocissima del pover’uomo, è solo il presagio del rape dream. Forse è il cambio di umore del docente, a seguito dell’ipotesi di sfruttamento sociale che gli si prospetta, a mutare il carattere delle sue apparizioni e trasformarlo nel Freddy Krueger di Nightmare. Paul diventa persona non grata, su di lui cala lo stigma, viene respinto dalla recita della figlia e allontanato dal lavoro. Non ha fatto niente, ma uccide la gente in sogno. E alla gente non piace. Il meccanismo della fama lo stritola, cambia il vento e diviene oscuro: la sua figura mefitica è richiesta perfino come testimonial dall’estrema destra razzista e sostenitrice delle armi. Paul è ormai fottuto. Liberamente ispirato a uno scherzo virale nel 2006, il film del regista norvegese continua logicamente – e visionariamente – il discorso intavolato nel precedente Sick of Myself, parabola di una ragazza che si auto-ammala pur di essere al centro dell’attenzione. Paul è il negativo di Signe, perché lui non chiede niente, non vuole niente eppure si ritrova prigioniero nell’ingranaggio, e una volta nella tela più ti dibatti e più finisci incastrato.
Borgli qui osa la strada onirica: già con questa scelta evoca un intero immaginario, per forza di cose, a tratti esplicito con Paul che indossa il guanto artigliato di Freddy, a tratti implicito come negli inevitabili richiami a Lynch, a partire dalla frase “I’ll see you in my dreams”, motto lynchiano per antonomasia, la stessa frase che Bobby pronuncia a Shelly nel pilot di Twin Peaks, per esempio. Ma c’è di più: la scelta del protagonista Nicolas Cage, perfetto nella sua stranezza, si può leggere come riflessione sul personaggio dell’attore, lui stesso un meme vivente, da anni inflazionato e iper-presenzialista, amato e odiato, la sua faccia incollata su corpi di gatti, spesso in bilico sul pericoloso confine tra cagata e sublime. Paul è anche Cage, dunque, c’è una chiara assonanza tra l’attore e il personaggio che interpreta. Va detto che il cinema di Kristoffer Borgli, classe ’85, ancora giovane, rischia anche di ripiegarsi sui simboli troppo evidenti (è stato citato Marco Ferreri, io eviterei), sull’insistenza che diventa prolissa nell’arco di cento minuti, sui significati che quasi con ansia vuole trasmettere; come accade qui nella seconda parte del racconto, che tende a puntualizzare ciò che abbiamo già capito, compresa una sezione finale lievemente distopica (c’è una sorta di braccialetto che controlla i sogni, inserendo uomini-spot) incapace di stupire davvero nell’era di Black Mirror. Detto ciò è un cinema che diverte e mette a disagio per quasi tutta la sua durata, e per questo è un cinema che serve, perché è sempre più necessario rovesciare nel grottesco il nostro tempo ridicolo.