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The enemy

2011
Titolo Originale:
Neprijatelj
REGIA:
Dejan Zecevic
CAST:
Aleksandar Stojkovic
Vuk Kostic
Tihomir Stanic

Il nostro giudizio

Un mystery-horror che parte dalla vicenda balcanica per parlare della possibile fine del mondo.

Al termine della guerra nella ex-Jugoslavia, una pattuglia di soldati riceve l’incarico di sminare i campi. Esplorando una fabbrica abbandonata, i militari trovano un vecchio, murato vivo. L’uomo si chiama Daba, è zoppo, sorridente e ben educato, e pare non avvertire freddo né fame. Docile, si lascia catturare dichiarando ai propri liberatori di stare dalla loro parte. Senonché, tornati al campo base, iniziano a prender corpo inspiegabili tensioni e conflitti all’interno della pattuglia, e, uno dopo l’altro, i soldati cominciano a sparire. La domanda è: chi è davvero il misterioso vecchio, e perché è stato murato?

Satana, uno dei nomi attribuiti all’incarnazione del male supremo, è un termine che – con leggere differenze – appartiene a diverse lingue: l’ebraico, il greco, il latino, l’aramaico e l’arabo. Il significato letterale è quello di “avversario”, “nemico”, “colui che si oppone”. A chi si oppone Satana? A Dio, per definizione, principio del sommo bene. Ma Dejan Zecevic con Neprijatelj (“il nemico”) propone del Maligno una versione meno religiosa e più umana. E proprio nel titolo si rivela l’impianto allegorico e la tesi che sta alla base dell’opera: il nemico non è un’entità identificabile, come vorrebbero farci credere. Sarebbe facile porre termine ai conflitti eliminando fisicamente colui che viene considerato come “avversario”, ma purtroppo così non è: distruggendo il nemico non si ottiene altro che la propria distruzione.

 Quella di Neprijatelj è una filosofia amara: nel corso della vicenda amici e nemici della pattuglia sono indistinguibili per lo spettatore (e immagino anche per uno spettatore serbo), e Zecevic mette in bocca agli uni e agli altri delle vaghissime attribuzioni (“è dei nostri”, “è dei loro”) che mostrano tutta la loro precarietà e inconsistenza. Proprio per questo, Neprijatelj, che in una classificazione di genere può essere definito un mystery ai confini con l’horror (poco viene mostrato e tanto viene evocato), parte dalla vicenda balcanica per approdare a una dimensione metafisica che parla dell’uomo, della sua involuzione e della possibile fine del mondo.
La fotografia di Dusan Joksimovic, desaturata fin quasi al bianco e nero, evoca un clima di ostilità e diffidenza in cui non c’è spazio per l’umanità: un’atmosfera cupa che solo l’attrazione del tenente Cole (Aleksandar Stojkovic) per la sperduta Danica (Marija Pikic) è in grado di rischiarare. Zecevic sa però come stemperare la tensione, e alleggerisce il racconto con una pungente ironia disseminata in dialoghi e situazioni: i soldati vengono obbligati a sminare il campo dagli ordigni che hanno posto loro stessi poco tempo prima – e di cui ricordano a stento il posizionamento – sotto l’occhio vigile dei militari americani che si allontanano prudentemente per non saltare in aria insieme agli sminatori.

Che esito attendersi dal più giovane regista serbo, che all’età di 37 anni ha già all’attivo 6 lungometraggi, diversi corti, un segmento in un film antologico e diversi film per la televisione, il cui totale dei premi ricevuti ormai ammonta a più di cento? Nel peggiore dei casi un film ben fatto. E infatti Neprijatelj è un film interessante e complesso, con un ritmo che anche nei momenti di pausa dell’azione non lascia mai spazio alla noia, perché i dialoghi sono credibili e ben calibrati, e il cast – diretto con mano sicura – è di straordinaria bravura. Dal canto nostro si spera che il film rimanga inedito in Italia: un eventuale doppiaggio, se condotto in modo approssimativo (come spesso accade), sarebbe in grado di nuocere al fascino delle interpretazioni, specie quella di Tihomir Stanic nel ruolo dell’inquietante Daba.