Faccia di spia
1975
Faccia di spia è un film del 1975, diretto da Giuseppe Ferrara.
Finché si tratta del torso denudato di Francisco Rabal/Mehdi Ben Barka, dove gli aguzzini dei servizi segreti del Marocco si divertono ad affondare un lungo stiletto, nelle spalle, nel ventre, fino al colpo finale con cui gli spaccano il cuore, il livello dell’emotività per lo spettatore di Faccia di spia resta alto ma contenuto. Niente che faccia voltare la testa o induca ad abbassare lo sguardo. La stessa cosa può dirsi per la sequenza in cui due infermieri segano via una mano, per conservarla nella formalina, al cadavere del “Che” (Claudio Camaso). Il film si presenta civilmente impegnato, denuncia i maneggi e le turpitudini commesse ovunque nell’universo dalla Central Intelligence Agency, ma con immagini da mattatoio a corredo; come nelle sequenze che ricostruiscono, intercalandole a spezzoni documentari, le ore della strage di piazza Fontana, dove la mdp di Giuseppe Ferrara va cercando con insistenza e precisione chirurgica i dettagli di arti maciullati e di facce spappolate dall’esplosione.
Ma poniamo che anche questo sia solo d’appoggio alla forza del discorso. Il momento decisivo di Faccia di spia, quello in cui viene fuori l’aspetto puramente, quintessenzialmente e violentemente esploitativo dell’operazione, è la sezione consacrata alle torture. Pochi minuti che sembrano tuttavia durare un eternità e che nell’exaggeratio degli orrori mostrati glorificano Faccia di spia con lo stesso serto di crudeltà che tocca a pochissimi altri film – il primo a venire in mente è Emanuelle in America ed è significativo. Chissà che cosa pensarono Mariangela Melato o Riccardo Cucciolla quando videro il loro collega, Lou Castel, nei panni di un soldataccio, spogliare a forza Mimma Monticelli, manganellarla, costringerla in equilibrio su lattine taglienti, bruciarle i capezzoli con una candela (Salò), quindi farla basculare appesa a un’asta, mordendola e infine stuprandola con esposizione (falsa) del proprio membro virile? E non è che l’inizio.
Ecco un negro che subisce l’amputazione di entrambe le mani tramite un’accetta. A un orientale, legato per un braccio, vediamo venire avvolta la mano libera in una benda: gesto caritatevole? Tutt’altro, perché le garze sono poi intrise di benzina cui viene dato fuoco. Il malcapitato si mette a urlare agitando l’arto infuocato, e l’effetto è impressionante, per via anche del fatto che non si tratta di un interprete professionista e quindi il suo comportamento è molto naturale nella disperazione. Poi dei carnefici, sempre orientali, inseriscono nella vagina di una donna martoriata delle piccole anguille. Da ultimo, signore di tutti gli orrori, il supplizio di un bianco, al quale dei soldati infilano un sottile ferro nel pene e poi lo arroventano con una fiamma. In un vecchio sito internet di Giuseppe Ferrara oggi non più attivo, alcune note relative al film ci informavano che il regista scelse come direttore della fotografia per Faccia di spia Mario Masini, dopo averne visto e apprezzato il modo di lavorare con Carmelo Bene. Ma aggiungono che, da Masini, Ferrara avrebbe desiderato “una rudezza ancora maggiore”.