Finché morte non ci separi
2019
Finché morte non ci separi è un film del 2019, diretto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett.
“Fanculo i ricchi di merda”. In questa frase – che la protagonista esclama quando un’auto di lusso non si ferma ad aiutarla – è racchiuso il quid del bellissimo Finché morte non ci separi (Ready or Not), un horror/thriller mescolato armoniosamente alla commedia nera che porta una ventata di freschezza nel panorama. Perché nel 2019 non c’è stato solo il tanto osannato Parasite a raccontare le lotta di classe attraverso il genere, ma ci si sono messi d’impegno anche i registi americani Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett: dopo due mockumentary – un episodio del collettivo V/H/S e La stirpe del male – eccoli cambiare completamente registro e sfornare il loro film più maturo. La protagonista Grace (Samara Weaving) è fidanzata con Alex Le Domas (Mark O’Brien), rampollo di una ricchissima e nobile famiglia americana. Dopo le nozze, la sera stessa, il marito le spiega che è tradizione per i nuovi arrivati partecipare a un gioco, estratto a sorte mediante una carta: Grace dovrà giocare a nascondino, ma non sa che sta per avere inizio una lotta mortale. Per via di una vecchia leggenda, le regole della famiglia prevedono infatti che tale gara comporti l’uccisione del malcapitato: nonostante l’opposizione del marito, gli altri membri cercano in ogni modo di uccidere la donna in un rito sacrificale, ma anche lei è un osso duro.
Finché morte non ci separi è un film di confine, fra il classico e il moderno: se l’ambientazione è gotica – un castello con stanze, corridoi, passaggi segreti e bosco circostante – e valorizzata da una fotografia calda e pastellata che ricorda certi film di Guillermo Del Toro, il sottogenere horror è invece tipico dei nostri tempi. Siamo infatti in un trap-movie, o survival-movie – con la protagonista in trappola che deve lottare per sopravvivere – dove le location goticheggianti e le armi antiche (fucili vecchio stile, asce, archi e balestre) convivono armoniosamente con le moderne telecamere e la stanza di controllo. La suspense, il sangue e l’ironia abbondano in egual misura, ma attenzione, non ci troviamo in una commedia horror di puro divertimento, bensì in una satira allegorica e orrorifica sull’alta società, che si colloca dalle parti del classico Society di Yuzna o del più recente Get Out di Peele. Non conosciamo l’estrazione sociale di Grace, ma sicuramente è un’estranea, non appartiene all’aristocrazia dei Le Domas, e la distanza fra i due mondi è rimarcata costantemente nel film: il motore stesso della vicenda, cioè la caccia all’uomo che serve per onorare la tradizione, oppone chi fa parte del clan familiare e chi ne è fuori, così come sono opposti coloro che vengono fagocitati dall’ingranaggio e coloro che invece lo contrastano.
L’élite nobiliare è rappresentata all’insegna dell’immoralità e della follia, attraverso una serie di personaggi pittoreschi e situazioni semi-caricaturali: il fratello Daniel (Adam Brody) è alcoolizzato, la sorella è cocainomane, tutti sono dei pazzi assassini, a cominciare dal padre (Henry Czerny) e dalla madre (Andie MacDowell). Ciò che accade è filtrato dalla lente del grottesco, il linguaggio è sboccato, abbondano tanto la violenza (omicidi e scontri corpo a corpo) quanto le situazioni assurde: le due cameriere uccise per sbaglio, le discussioni fra i membri della famiglia, i cadaveri da nascondere, Grace che si trasforma in una sposa-guerriera (chissà se i registi avevano in mente Kill Bill), con tanto di fucile e cartuccera a tracolla. La regia concede ampio spazio a effetti gore e splatter di buon artigianato: corpi infilzati dalle frecce, un volto spappolato, un corpo segato in due, la stessa protagonista che si copre man mano di sangue (una mano squarciata, la schiena sfregiata), in un climax che sfocia in fiotti di sangue e corpi che esplodono in stile Scanners. Finché morte non ci separi è un horror in continua evoluzione, e nella conclusione prende addirittura una strada esoterica e soprannaturale, che può sembrare poco coerente con quanto visto durante il film ma è sicuramente di buon effetto. Notevole infine il comparto tecnico-estetico: oltre alla fotografia di cui si è già detto, notiamo una cura certosina nella costruzione delle inquadrature e nella colonna sonora, che alterna brani di musica classica con pezzi pop/rock e tesissime sonorità d’atmosfera.