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G20

2025
Titolo Originale:
G20
REGIA:
2025
CAST:
Viola Davis (Danielle Sutton)
Anthony Starr (Ruthledge)
Marsai Martin (Serena Sutton)

Il nostro giudizio

G20 è un film del 2025, diretto da Patricia Riggen.

Famolo strano, vi va? Al posto della solita recensione nella quale vi spiego perché e percome, dal mio personale punto di vista, G20 è un film semplicemente delirante, stavolta vorrei provare a ribaltare un tantino la prospettiva. Mi spiego peggio: fosse uscito una trentina d’anni fa, magari sotto l’egida della benamata Cannon Films piuttosto che della rutilante New World di Zio Corman, l’ultima registica fatica di Patricia Riggen — passata dal dramma all’action duro e puro grazie alle catodiche prodezze di Jack Ryan — sarebbe sicuramente divenuta a suo modo un piccolo cult. Certo è che l’idea di una cazzutissima Presidente degli Stati Uniti intenta a sgominare pressoché in solitaria un nutrito manipolo di terroristi nel pieno di un summit internazionale in quel di Città del Capo, beh, forse sarebbe risultata un pochetto too much anche per la testosteronica serie B di fine Ventesimo Secolo. Ma si sa che su Prime Video, per giunta nel pieno di un caldissimo 2025, vedere una tosta Viola Davis in bodycon color rubino, sneakers in pandant e la stessa impassibile cazzimma di una Jane Rambo mettere a ferro e fuoco un intero cocktail party pieno zeppo di sovversivi da cartolina e macchiettistici capi di stato non è cosa che dovrebbe sorprenderci più di tanto, vero?

 Questione di prospettiva, dicevamo. E dunque, al posto di prendere atto di ciò che è irrimediabilmente andato storto all’interno di questo thrillerino (fanta)politico, sarebbe interessante piuttosto capire quali ingredienti, in un qualche multiverso parallelo cinematograficamente ben più povero e accomodante, avrebbero potuto rendere G20, se non certo un successo, quantomeno un degno prodotto d’intrattenimento. Soprassedendo sul background militaresco in odor di Delta Force dalla nostra mono espressiva Madame President — la cui sessione intensiva di jujitsu sull’immacolato praticello della Casa Bianca a neanche cinque minuti d’orologio lascia ben poco spazio a qual si voglia congettura —, il setting sudafricano che ospita questa allegra rimpatriata di plenipotenziari da Bagaglino pronti a discutere un delicato piano di sostegno economico destinato tuttavia ad essere mandato a ramengo dai soliti avidi villain armati di deepfake e cattive intenzioni, diciamolo pure, il suo perché pare avercelo eccome. Se ci aggiungiamo inoltre personaggi di contorno piatti come cotolette ma tutto sommato curiosi quali un puccioso First Gentleman (Anthony Anderson), una ribelle First Daughter (Marsai Martin) con il pallino dell’hacking, un First Son (Christopher Ferrar) di pura rappresentanza, un prestante bodyguard (Ramón Rodríguez) dal cuore d’oro e persino un’altezzosa Presidente del Fondo Monetario Internazionale con tutta la rutilante sguaiataggine di Sabrina Impacciatore, con l’aggiunta di un bel contorno di pallottole, goliardiche battutone ad effetto scadute almeno dall’85 e un sana dose di badabum! — rigorosamente in una CGI da secondo prezzo — allora il gioco parrebbe bello che fatto no? Beh, non proprio… Anzi, proprio per nulla!

 Ma come, direte voi: se gente come Harrison Ford, Aaron Eckhart e persino Samuel L. Jackson sono riusciti a sopravvivere ad assalti armati recapitati per corriere espresso al 1600 di Pennsylvania Avenue, ad adrenaliniche scorribande sul tettuccio di un Presidential Express e persino ad eiezioni di emergenza dall’Air Force One a bordo di un congelatore, allora perché un’ipotetica Kamala Harris uscita dritta dritta da uno spin-off di Die Hard non potrebbe salvare egregiamente le sorti di un misero G20? Beh, semplicemente perché, sotto a tutta questa cacofonica adrenalina usa e getta, si cela in realtà un qualcosa che i nostri coloriti amichetti yankee etichetterebbero bonariamente come “rough”. Un film, appunto, grossolano e decisamente grezzo nella sua spasmodica ricerca dell’over the top a tutti i costi. Un prodottino di trattenimento più che intrattenimento; un debordante filmico sequestro di persona di quasi due ore da godersi, per così dire, rigorosamente a cervello spento seppur nella piena consapevolezza che, come disse il saggio, quando l’elettroencefalogramma si fa piatto o si è morti oppure irrimediabilmente assuefatti. Tuttavia conviene assaporare fino in fondo i disimpegnati ultimi rantoli di questa boccheggiante empowerment femminista; poiché, con il folle Waldo dall’orangiato ciuffone di nuovo intento a spadroneggiare nello Studio Ovale, il Buio, come ci disse già a suo tempo un’agguerrita Kathryn Bigelow, si avvicina inesorabile non solo fuori dagli schermi.