Grotesquerie
2024
Grotesquerie è una serie tv creata da Ryan Murphy, Jon Robin Baitz e Joe Baken.
Ryan Murphy è un abilissimo affabulatore, un autore colto e multicitazionista che adora sparigliare le carte. Si diverte come un matto. Solo che nel caso di questa ennesima sua creazione, Grotesquerie, si è lasciato prendere un po’ la mano. Sembra infatti che il giocoliere faccia le sue magie sotto effetto di qualche acido…andato a male. Un passo indietro. La serie, composta da 10 episodi, è ben scritta e, come sempre, a livello produttivo non si fa mancare niente: locations, attori strepitosi e fotografia di altissimo livello. Parte con il botto, con una trama potente e stratificata, marcescente e caratterizzata dal forte e corrosivo cinismo. La cazzutissima detective Lois Tryon (una sublime Niecy Nash, in grande spolvero), da la caccia al delirante serial killer (più fantasioso di Arturo Brachetti nell’inscenare le sue stragi) che si firma em>Grtotesquerie. Ok? Ma neanche per sogno. Lois è alcolizzata, ha un marito in coma farmacologico (che è sotto le grinfie dell’infermiera Redd, in stile Bette Davis, cui da il volto una splendida Lesley Manville) e una figlia obesa e autodistruttiva la cui unica ambizione è prendere parte a un reality trash sulle disfunzioni alimentari. Ah, si, Lois viene aiutata nelle indagini da una suorina sui generis, investigatrice dilettante e arguta giornalista. Ora ci siamo.
La trama va a gonfie vele, il marciume dilaga e la famiglia (e la provincia) americana viene messa alla berlina, mostrata come nel segreto del suo sottoscala. Con apice durante il terzo episodio, “La sbronza”, diretto dallo stesso Murphy (quindi con susseguente tiro al piccione… ma sbagliano tutti): come in un attualizzato Eva contro Eva, Lois e la figlia Merritt si sfidano nelle loro patologie. La madre cucina un abominevole e malsano piatto per la figlia, per comprarla al silenzio sul suo alcolismo. L’episodio si crogiola nel malato e le due protagoniste/antagoniste gongolano con sadismo e orgasmico compiacimento nel padroneggiare i propri vizi, usandoli come arma una sull’altra. Questo è Grotesquerie! E invece no. Arriva il ribaltone, Murphy sniffa non si sa quale lacca da hard discount andata – scaduta – e dopo il settimo episodio (un apice di gore e violenza, rivelazioni e perversioni di ogni sorta, con sublime lotta finale tra Lois e la suorina) getta il mazzo di carte dal balcone rococoò nel quale si trova e vroooom, la trama diventa un’altra serie. Lois è in coma farmacologico, la figlia è una stimata insegnante e il marito, in ottima salute, ha per amante la stramba Redd… ma soprattutto: Lois ha sognato tutto quello che è stato divinamente messo in scena fino alla puntata precedente! La morte vera.
Ora, i televisione dipendenti e serial aficionados non potranno non adorare il rimando/omaggio a un ingegnoso gimmick che negli anni 80 escogitarono a Dallas per far tornare in scena Bobby Ewing… dopo una intera stagione, la moglie di Bobby si sveglia e lo trova sotto la doccia: la sua morte – e tutta la stagione incentrata su ciò – erano state un sogno!) Peccato che i ruggenti anni 80 e le soap operone fiume siano lontane anni luce…In un serial di Ryan Murphy ci poteva stare un ribaltone simile ma magari in una serie a episodi autoconclusivi …non in una serie antologica che era partita così bene, con tutti gli elementi perfetti al posto giusto! Il colpo di scena indubbiamente è assestato…ma in positivo? Direi proprio di no. I personaggi e le dinamiche del sogno di Lois erano un portento di salmastra negatività, un putrido agglomerato di storie che avevano senso. Il finalone senza nerbo ha mandato tutto a puttane. Ma la serie, mi sento di dire, merita comunque tanto per quanto e come spinge su determinati pedali di autodistruzione, personale e sociale. Oltre che per le prove attoriali. Poi, vabbè, sempre di un viaggio allucinatorio sul bus targato 666 guidato da Murphy si sta…Allacciatevi le cinture, ma non chiudete gli occhi.