Hanno clonato Tyrone
2023
Hanno clonato Tyrone è un film del 2023, diretto da Juel Taylor.
Dunque: un pappone, una prostituta e uno spacciatore entrano in un bar… No, tranquilli, non si tratta dell’incipit di una qualche barzelletta sconcia, quanto piuttosto della picaresca miccia in grado di far deflagrare il curioso battesimo registico del giovane Juel Taylor. Un esordio tutt’altro che in sordina, non c’è che dire, inaugurato attraverso un grottesco e decisamente inquietante thriller fantascientifico ben farcito di sfacciato black humor e alternato a graffiante black (pop) culture, più che mai debitore della perturbante filosofia woke brandizzata da quel geniaccio di Jordan Peele. D’altronde, al cospetto di un titolo come Hanno clonato Tyrone, gli occhi della mente non possono che schizzare dritti agli spauracchi cospirazionistici all’ombra del viscerale Noi, così come anche ai subliminali giochini di potere orchestrati da quell’occulta Eminenza Grigia – anzi, Bianca – ben attiva nei borghesissimi salotti del seminale Scappa – Get Out. Tenendo tuttavia conto che, almeno stavolta, i benamati Poteri Forti paiono decisamente molto più (o)scuri di quanto non si creda. Se provate infatti a chiedere conto a quel pazzo di Jamie Foxx, lui vi dirà che, si, è un po’ come trovarsi al cospetto di Arancia meccanica, ma con i neri. Insomma: una tagline degna di una puntatone di Black Mirror, non credete?
E in effetti, nonostante un setting smaccatamente contemporaneo – anche se adulterato da qualche anacronistica spruzzatina superfly in odor di Blaxplotation anni Settanta e parecchi riferimenti ai residui analogici del mood 90s -, il tipico effetto destabilizzante da distopia non dichiarata pare farsi sentire bello forte sin dalle primissime inquadrature, ambientante, per l’appunto, nella degradata e retrofuturistica cittadina fittizia di Glen, nella quale l’ombroso criminalotto Fontaine (John Boyega) tenta di portare avanti il proprio fruttuoso smercio di illegalissime sostanze nel mezzo del solito sonnacchioso tran tran. Fra una capatina al drugstore di fiducia, un saluto all’amichevole (e decisamente profetico) senzatetto di quartiere, qualche sfuggente parolina con la misantropa madre celata dietro una misteriosa porta chiusa e, ultimo ma non ultimo, l’ancora cocente ricordo del compianto fratellino ucciso, accade una notta che la routinaria vitaccia di questo immusonito ragazzone perduto paia, tuttavia, destinata ad interrompersi anzitempo, a causa di un vigliacchissimo proiettile fattogli recapitare a tradimento da un turbolento rivale in affari. Ma il nostro Dolemite in felpa e sneakers, ritrovandosi inspiegabilmente a riaprire i placidi occhietti su di un nuovo giorno, passato l’iniziale shock da novello redivivo inizierà a subodorare lontano un miglio puzza di complotto, impelagandosi, così come lo spaurito e lattiginoso Andrew Garfield protagonista del labirintico Under the Silver Lake, in un una rocambolesca e allucinata detection alla ricerca dello scomodissimo quanto spiazzante bandolo della matassa, forse celato nientemeno che fra i criptici indizi subliminalmente disseminati fra gli ingredienti di una porzione di pollo fritto e le altrettanto fumose miscele di ben note bevande zuccherate.
Come si dice: leggi tra le righe, giusto? Roba tosta e parecchio occulta, insomma, ma mai quanto la scioccante Verità Suprema che, grazie al bislacchissimo aiuto dell’irrequieta lucciola Yo-Yo (Teyonah Parris) e del di lei decaduto magnaccia Slick Charles (Jamie Foxx), verrà infine portata alla luce, facendo fede a un titolone come Hanno clonato Tyrone che, detto fra noi, non lascia poi molto spazio all’immaginazione. Con buona pace, ovviamente, del caro Peele e di parecchio Black Cinema a lui antecedente – dalla tosta Pam Grier di Friday Foster alla più recente operazione nostalgico-parodistica di Black Dynamite -, a dimostrazione di come lo spauracchio di una sordida macchinazione ai danni dell’inerme popolazione afroamericana sia materia più che mai viva e vegeta. Un po’ come lo stesso Fontaine, insomma, alla facciaccia di chi gli vuol male. Ed è con piglio decisamente inconsueto che il buon Taylor sceglie di affrontare una così suggestiva quanto spinosissima questione, confezionando un’opera alquanto disturbante e sorprendentemente destabilizzante. Un film di fatto fuori dal tempo, in quanto temporalmente ambiguo; suadentemente sperduto in un oscuro limbo che divide le tesissime atmosfere tipiche di un thriller sci-fi di fine Millennio dall’anarchica e stemperante filosofia motherfucker di una sboccata pellicola grindhouse. Un’opera non certo semplice (e semplicistica) come potrebbe superficialmente apparire e, oggettivamente, non adatta a tutti i palati, difficilmente incasellabile all’interno di un genere preconfezionato ma ugualmente capace di piantare ben più che qualche semplice tarlo nei nostri occhietti e nel nostro lobotomizzato cervellino. Il tutto, ça va sans dire, tra un sorriso a denti strettissimi e qualche sano brividozzo lungo la schiena.