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Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883

2024
REGIA:
Sydney Sibilia, Alice Filippi, Francesco Capaldo
CAST:
Elia Nuzzolo (Max Pezzali)
Matteo Oscar Giuggioli (Mauro Repetto)
Ludovica Barbarito (Silvia)

Il nostro giudizio

Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883 è una miniserie televisiva del 2024, ideata da Sydney Sibilia

Il punto di partenza è la pessima pagella che Albert Einstein consegnò al padre prima di essere costretto ad emigrare a Pavia. E proprio nella stessa provincia lombarda inizia una storia che ha segnato profondamente gli anni Novanta e la musica italiana. La serie sugli 883, attesissima produzione Sky, era in principio ed è ancora oggi un’operazione all’insegna della furbizia. E proprio per questo la firma è di quel volpone di Sydney Sibilia che, ereditato e reso più appetibile per i tempi il racconto trasognato e provinciale del primo Virzì, ha proseguito di fatto il suo percorso con un’altra coppia di ribelli sfigati. Questo perché i Pezzali e Repetto della serie sono nella sostanza fratelli dei ricercatori precari della saga Smetto quando voglio e dei pirati di Mixed by Erry. Ciò che dà effettivamente la forza ad una storia di cui tutti ricordano l’apice è proprio scoprirne l’inganno, ossia ciò che poteva non succedere e invece è accaduto. Infatti, la miniserie parte proprio sul concetto, o sarebbe meglio dire sul cliché delle sliding doors.

Naturalmente Sibilia si prende non poche licenze nel ricostruire la vicenda, ma il punto focale rimane questo duo di amici che attraversa la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta in un mercato discografico italiano già saturo dei tanti cambiamenti avvenuti ma anche commercialmente irrefrenabile. E tra un Jovanotti che nessun millenial oggi potrebbe immaginare, un Sandy Marton pronto a sparire “come la lacrime nella pioggia” e un Rosario Fiorello che “inventa” il karaoke, sulla strada dei futuri 883 si staglia la figura di Claudio Cecchetto, che con il Gioca jouer composto da Claudio Simonetti si sistemò a vita e che qui è in versione “cummenda” interpretata da un sempre bravo Roberto Zibetti (guarda caso, l’assassino dell’argentiano Nonhosonno). La contrapposizione tra lui e Pezzali-Repetto è ciò che rende più interessante la seconda parte della serie, quella relativa all’improvviso successo. I prodromi, invece, hanno tutt’altra energia, grazie ad un tono da commedia che estranierebbe dal soggetto se non fosse per qualche piccola anticipazione e una serie di sottili riferimenti alle hit che comporranno il primo album e non solo. E da questo punto di vista i due protagonisti Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli si prendono gran parte dei meriti, seppur il primo tenda a sfociare spesso nell’imitazione.

E ottime sono anche, sempre parlando delle nuove leve, le performance di Ludovica Barbarito e di Davide Calgaro, rispettivamente oggetto del desiderio e migliore amico di Pezzali. Sia per le interpretazioni (anche dei comprimari) che per la sceneggiatura, è ormai inutile dire che Hanno ucciso l’uomo ragno funziona. Convince nell’essenzialità e nella linearità, in controtendenza rispetto alla narrativa seriale odierna, assomigliando di fatto a ciò che gli 883 hanno rappresentato al momento del loro arrivo nel mercato discografico. Un linguaggio diretto, semplice e da un certo punto di vista anche umile, seppur non in una forma singolare quanto gli equilibri del duo. Il vero problema è e sarà il cliffhanger. Le otto puntate si consumano in un momento cardine che però è anche parecchio avanzato nell’economia della storia. Quindi si continua? E come? E per quanto a lungo? La scelta più coraggiosa, che però non verrà mai presa in considerazione perché ormai si è in ballo e alla fine bisogna pur arrivare, sarebbe chiudere. Fermarsi a quel perfetto “come la ballo questa?” e lasciare tutto al non detto e al non mostrato.