Here
2024
Dopo la mia ultima cena
mettetemi seduto, solo come un re
che accolga le vestali.
Nella pipa fumerò i ricordi d’infanzia
i sogni irrealizzati, i resti di speranza
Jacques Brel, L’ultima cena
Here è un film del 2024, diretto da Robert Zemeckis.
Nell’epoca della tifoseria d’accatto, della critica a braccio, delle argomentazioni a sentimento, tra alti e bassi Robert Zemeckis rimane tra i migliori registi della sua generazione. Che vi piacciano le sperimentazioni di The Polar Express, i rimandi al cinema classico con Flight, all’ennesima insopportabile trasposizione di Pinocchio, Zemeckis è uno di quelli che prova a spingere in avanti le lancette dell’orologio sperimentando non solo tecnicamente, anche narrativamente, cosa sia lo spazio-tempo del cinema e lo fa quest’anno partendo da un fumetto di Richard McGuire, Here (Qui). Pubblicato per la prima volta su Raw nel 1988 (la rivista di Art Spiegelman) McGuire riesce in 6 pagine e pochissime vignette (36) in bianco e nero, a sconvolgere la grammatica del fumetto, a scardinare il concetto di tempo, ad anticipare con una delle sue fonti d’ispirazione, il panorama frammentato della nostra vita, del nostro io, ossia le infinite finestre che compaiono sul desktop Windows (e non solo), creando continuamente un senso diverso, un montaggio differente dello sfondo in base alle nostre azioni. Ovviamente, un’idea simile non poteva non attirare l’attenzione di Zemeckis che, ahimè, dal trailer presentava Here come un film da ‘amore e malattia’, da diabete di tipo 2, da qualcosa da guardare con un occhio solo come un incidente stradale e, invece…Non pensavo sarebbe riuscito a fare un film di più di 100 min senza mai un momento di stanca, dove la Storia del mondo s’intreccia alla storia di Here, di questo punto di vista unico, fermo nello spazio (per lo più l’angolo del salotto che guarda verso una finestra), ma mutabilissimo nel tempo che McGuire sceglie per non parlare di nessuna storia o, forse, del passato come del presente e di un lontano futuro senza una soluzione di continuità di queste vite o della vita di una porzione di pianeta dalla preistoria fino al 2300. Attenzione, stilisticamente e non solo siamo su un piano diverso rispetto al manichino fuori dalla finestra che Rod Taylor vede costantemente cambiare con la moda in una scena de L’uomo che visse nel futuro, per quanto possa venire in mente a qualcuno (in primis la sottoscritta).
Here mostra lampi di esistenze che attraversano quello spazio come fili scoperti senza darci il tempo di creare un legame emotivo; eppure, ritenendo tutte le storie, vite o pagine ugualmente importanti. Soprattutto da quando nel 2014 (da noi nel 2015 grazie a Rizzoli Lizard) McGuire decise di ampliare le pagine da 16 a 300, acquisendo uno stile grafico tra il digitale (c’è una versione digitale di Here) e lo stile inconfondibile di Edward Hopper (il punto di vista privilegiato delle finestre qui viene ribaltato). Forse per il pubblico di Zemeckis una operazione simile fatta negli anni ‘80 sarebbe stata troppo sperimentale (in rete trovate un cortometraggio tratto dal fumetto), meno cinema narrativo e più d’avanguardia, per il modo in cui fruiamo oggi dei film (estrapolando frame, cambiando il montaggio ribaltando inizio, sviluppo e fine in base alle nostre esigenze) Zemeckis ha scelto il momento migliore cogliendo una delle tante letture dell’opera, piegandola a uno stile più affine al suo: le conseguenze delle nostre azioni cristallizzano il tempo, danno un senso alla morte come allo spazio, dove un vero senso non c’è. Zemeckis racconta tra le tante (un aviatore, un inventore, una famiglia afroamericana nel periodo del Covid) la storia di uno dei tantissimi inquilini di quella casa costruita nel XIX secolo, per accompagnare lo spettatore con delle coordinate precise per non perdersi in un’orgia di finestre temporali che si susseguono anche in contemporanea. Richard (Tom Hanks) è il figlio di un reduce della Seconda Guerra Mondiale Al (Paul Bettany) e sua moglie Rose; vuoi perché ha messo incinta a soli 18 anni sua moglie Margaret (Robin Wright), sia per le paure da uomo traumatizzato che gli ha trasmesso suo padre, Richard rimane ancorato tra le mura di quella casa coloniale perdendo pezzi di sé, di sogni e non solo, lungo la strada.
I sacrifici per la famiglia, così come il sogno di illustratore chiuso nel cassetto insieme alle aspirazioni della moglie, vengono abbozzati in quelle che poi sono molteplici istantanee di una vita assolutamente comune, ma non meno importante -nelle sue piccole gioie come tragedie- degli altri accadimenti in quel luogo nelle pieghe del tempo. Oltre l’interfaccia, i layers e le finestre pop up, sono state le foto di famiglia l’altra ispirazione di Richard McGuire che qui lascia libero Zemeckis di creare un altro livello di narrazione, proponendolo come protagonista del film espandendo ancora di più il concetto di multimedialità e di meta-cinema. Così non solo il regista si diverte a riunire Hanks e Wright dai tempi di Forrest Gump, ma anche a ringiovanirli fin dove è possibile spingere la tecnologia, il deep fake e gli effetti speciali oggigiorno. C’era il rischio altissimo che la rivoluzione di McGuire si perdesse in una valle di lacrime forzate, ma ciò che rimane del film Here, invece, è una sinfonia di come il tempo, protagonista e villain al contempo dell’opera, possa e debba essere cristallizzato come l’attimo faustiano: ‘Fermati, attimo, sei così bello’. E per Zemeckis quell’attimo da fermare che dà un senso alla vita, forse, è l’amore. In Here Robert Zemeckis riesce nella delicata impresa di farci godere della vita di Richard, come di quel luogo al suo stato primordiale, con lo stesso sommesso e inquietante voyeurismo di osservare qualcuno o qualcosa dallo spioncino di casa.