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Hexham Heads
2024
Hexham Heads è un film del 2024, diretto da Chloë Delanghe e Mattjs Driesen.
Agli inizi degli anni Settanta nella piccola cittadina di Hexham, due ragazzi rinvengono nel giardino di casa delle piccole sculture in pietra dalla forma di testa e della grandezza di qualche centimetro. L’origine di quelle che diventeranno in seguito celebri come le Hexham Heads, è a tutt’oggi sconosciuta: secondo alcuni erano collegate ad antichi riti celtici, mentre un uomo ha dichiarato di averle scolpite personalmente per la propria figlia. In seguito al ritrovamento dei manufatti, la famiglia dei ragazzi ha più volte denunciato apparizioni casalinghe di strani esseri, metà animali e metà uomini, oltre ad altri fenomeni paranormali. Questi sono i fatti, realmente accaduti – ad oggi le pietre risultano scomparse, prese da un uomo misterioso e mai più riapparse. La coppia di origine belga Chloë Delanghe e Mattjs Driesen ripropone questo spunto, in cui si intrecciano cronaca e leggende del folklore locale, attravero l’arma della suggestione per raccontare l’impatto soprannaturale della scoperta dei manufatti, usando il formato del mediometraggio horror sperimentale.
Hexham Heads è una produzione belga e britannica, due terre dalla lunga tradizione nella produzione di storie fantastiche dal sapore folk e difatti a quelle atmosfere rarefatte, fatte di paesaggi ampi e minacciosi, di oscurità soprannaturali immanenti nella natura, il duo sembra ispirarsi, scegliendo di raccontare una storia di fantasmi o di presunti tali utilizzando l’estetica analogica, tipica di altri prodotti sperimentali come Skinamarink e perfettamente calzante nel voler mantenere il timone nella rotta di un gioco di suggestioni e di allusioni, cercando di proiettare l’orrore direttamente nella mente dello spettatore, chiamato in causa a decifrare il non detto o il non dicibile dell’immagine sporca, spesso immobile, enigmatica. La colonna sonora, ipnotica e minimalista, composta da Sam Comerford, sembra proprio voler indurre questo stato di trance, di estasi visiva.
Delanche e Driesen combinano formati eterogenei, come le fotografie in bianco e nero quando non virate nel rosso acceso della camera oscura, la pellicola 16mm con la sua grana, estetica da videocassetta e materiali d’archivio, dando vita a una poetica dell’immagine che, scegliendo di dare maggior valore al fuori campo piuttosto che all’evidenza, impatta sulla percezione del tempo e dello spazio, che escono fuori dallo schermo quasi cristallizzati, inafferrabili. La grande attenzione al dettaglio, alla materialità del supporto fotografico travalica la semplice sperimentazione estetica per impattare decisamente sulla storia, sul modo di narrarla e sul cosa viene narrato. Il racconto, pur scandito dalla voce off di Delanghe, non segue un percorso lineare, ispirandosi esplicitamente a certo cinema orientale dell’orrore, oltre ai già menzionati folk horror che soprattutto in Inghilterra andavano per la maggiore negli anni Settanta, con il loro misto di paganesimo, mistero e anarchia stilistica. Un’anarchia che è chiaramente l’arma principale di Delanghe e Driesen per ricreare un modo nuovo di fare horror.
Il film ha ottenuto la Menzione speciale Premio della critica SNCCI al Festival di Pesaro 2024