Horizon: An American Saga – Capitolo 1
2024
Horizon: An American Saga – Capitolo 1 è un film del 2024, diretto da Kevin Costner.
Perché Horizon: An American Saga – Capitolo 1 dovrebbe lasciarsi morire trascinando con sé il secondo capitolo? Perché al di fuori di Star Wars qualsiasi saga risulta pretenziosa, sbagliata e un tragico spreco di soldi? Andiamo con ordine. Diverse sere fa ho rivisto Cane di paglia con un amico, la sera dopo Il mucchio selvaggio e quella ancora dopo La ballata di Cable Hogue. Dopo tanti anni di ricerca nei meandri della banda larga, torrent, canali Telegram, Emule, multisale, mega sale, cinemini d’essai e festival del cinema, ultimamente sento il bisogno di una incubatrice emotiva tanto da piegarmi alla pratica del re-watch che da giovane mi pareva uno spreco di tempo. Al di là dei titoli sopracitati, la mia non era proprio una yellow brick road nostalgica sulla filmografia del mio amato Sam Peckinpah, anche perché diverse sere l’ho tradito col Bunuel de L’angelo sterminatore, o Dead Ringers e Spider del primo Cronenberg – quello degli ultimi anni manco lo considero -, ma godermi un’opera senza dovere richiedere aspettativa al lavoro. Mi sono stupita di come tre registi così diversi, in massimo due ore, riuscissero a condensare la condizione umana; oggi, invece, la complessità o l’intelligenza di un film viene valutata in modo direttamente proporzionale alla sua durata. Come se un uomo per definirsi tale dovesse avere le misure di Rocco Siffredi, per intenderci. Forse è per questo che tra i cinefili di internet Lav Diaz è una rockstar e non semplice fumo degli occhi, e forse è per questo che miracolati come Kevin Costner credono che a qualcuno possa interessare una saga americana con ogni capitolo che dura più de Il cacciatore di Cimino.
Quando sono andata in sala (non sono stata tra i ‘fortunati’ che hanno potuto vederlo in anteprima a Cannes) ammetto che, ingenuamente, mi aspettavo l’equivalente cinematografico di O Lost. Storie di una vita perduta (Thomas C. Wolfe) un’altra saga che attraversa tre generazioni nella cintura del Midwest nel XIX secolo; ma se nel lavoro semi autobiografico di Wolfe c’è tutta la malinconia e il rimpianto di un paese che ha fatto del dolore e del sacrificio la propria pietra angolare, in Horizon l’afflato da epopea, nonostante la durata, non è pervenuto. Diciamolo, Costner non si rapporta come regista cinematografico da più di vent’anni (Terra di confine) e sembra avere interiorizzato i meccanismi della serialità televisiva: ci sono troppi plot narrativi, personaggi privi di caratterizzazione e salti temporali. Per quanto è vero che devono uscire altri capitoli dove forse qualche personaggio avrà un suo spessore e qualche nodo verrà sbrogliato, le premesse sono quelle del disastro. Lo scopo è mostrare prima durante e dopo la Guerra di Secessione l’espansione del West, quindici anni circa di storia, attraverso dei personaggi senza autore: Hayes Ellison (Kevin Costner) è un commerciante di cavalli che si ritrova a proteggere la prostituta Marigold (Abbey Lee) e il bambino che le è stato affidato; Matthew Van Weyden (Luke Wlson) guida una carovana per il Santa Fe trail dove trasporta altri personaggi inutili; poi abbiamo un gruppo di Apache che massacra persone per insediarsi lungo il fiume della San Pedro Valley; una famiglia dimezzata composta da madre e figlia, dove la madre è Sienna Miller che col cadavere del marito ancora caldo ammicca al tenente Trent (Sam Worthington); e, infine (credo), un gruppo che vuole arrivare a Horizon e occupare le sue ‘terre vergini’ in cerca di fortuna.
Non vedevo così tanti nomi e una trama così delirante dai tempi della serie Dark, dalla Genesi e dal Silmarillon.
Ci pensate che Costner ha vinto un Oscar per la regia all’epoca di Balla coi lupi? Qui, purtroppo, siamo più sui lidi disastrosi di Waterworld. Kevin Costner ha lasciato gli approdi sicuri della serie Yellowstone per creare un pasticciaccio, e benché non sia fan dei registi e degli sceneggiatori (qui la sceneggiatura è scritta da Costner stesso e Jon Baird) che ti prendono per mano spiegandoti tutto, faccio volentieri a meno di una storia che tartaglia con dei dialoghi degni di un feuilleton minore. Col senno di poi la miniserie Nord e Sud aveva molta più dignità. Il destino manifesto degli Stati Uniti si è già concretizzato in modi talmente pervasivi ed epidermici che gli stessi americani non ne sono consapevoli, neanche il buon vecchio eroe di Balla coi lupi. L’unico modo in cui possiamo fare della resistenza all’inevitabile (al terzo e quarto capitolo ancora da girare) è abbandonare questi due capitoli (il secondo in uscita ad agosto) al loro destino, alla tragedia estiva dei botteghini stanchi, un po’ come fecero i creatori del farmaco Talidomide provocando migliaia di morti, morti bianche e infinite malformazioni ai pochi sopravvissuti. Salviamoci.