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Hounds of Love

2016
Titolo Originale:
Hounds of Love
REGIA:
Ben Young
CAST:
Ashleigh Cummings (Vicki Malhoney)
Emma Booth (Evelyn White)
Stephen Curry (John White)

Il nostro giudizio

Hounds Of Love è un film del 2016, diretto da Ben Young

Perth, Western Australia, Dicembre 1987: un sole che spacca le pietre, un ralenti esasperato su ragazze che giocano a netball, un passaggio accettato incautamente, un’apparente normalità che diviene anomala nell’inquadratura di una finestra serrata da un pesante pannello di legno, nel dettaglio di un polso ammanettato a un letto e, sul pavimento, dildos e fazzoletti sporchi di sangue. Così inizia Hounds of Love, opera prima dell’australiano Ben Young presentata, oltre che al Festival di Sitges, già a Venezia 2016 con tanto di premio Fedora ad Ashleigh Cummings come Migliore Attrice in un film di debutto. Il plot di Hounds of Love ricorda molto da vicino la vicenda reale della serial killer couple responsabile dei “Moorhouse Murders” ossia David e Catherine Birnie, accusati dell’omicidio di quattro giovani donne: la quinta, Kate Moir, riuscì a fuggire. Young, in realtà, ha sempre negato un riferimento preciso, dichiarando di essersi ispirato a nove diverse coppie omicide, tuttavia le similitudini sono troppo evidenti, al punto che la Moir si è sentita “usata e molto dispiaciuta nel vedere la vicenda sfruttata in un film”. Controversie a parte, il debutto di Young è un potentissimo thriller sull’amour fou, tematica già sviscerata in numerose pellicole ma ciò che fa la differenza sono le intenzioni: «Non volevo fare un film sugli atti violenti dei killers, bensì volevo fare un film sui killers stessi».

1. hounds of love

Evelyn e John White, la coppia assassina, sono interpretati rispettivamente da Emma Booth e Stephen Curry: i due ci regalano interpretazioni indimenticabili, con un John White viscido e bastardo all’ennesima potenza, col baffetto da marpione e convinto di avere un grande potere sulle donne. La Evelyn di Emma Booth è figura indelebile, resa in modo perfetto nella sua confusione e complessità: non chiede la nostra empatia ma nemmeno il nostro totale disprezzo in quanto è la prima a odiare se stessa. Young inquadra il suo corpo nudo e ricoperto di lividi e cicatrici, un corpo che ha partorito due figli che la donna ha il divieto di vedere. Evelyn è vittima e carnefice al tempo stesso nell’essere complice dei crimini del compagno e carceriera di Vicki Maloney (la già citata ed eccellente Cummings), che accetta il solito passaggio dai due. Vicki sta affrontando con difficoltà la separazione dei propri genitori voluta dalla madre: la giovane comprenderà che l’unico modo per tentare di salvarsi è mettere Evelyn contro John.

2. hounds of love

Il rapporto che si instaura tra le due è una sorta di Sindrome di Stoccolma sbilenca ed è curioso sottolineare come Vicki passi dalla ribellione verso una madre “forte e indipendente” alla sottomissione forzata impostale da una donna, madre mutilata nel proprio istinto, che è poco più di una marionetta, almeno apparentemente. Il finale è, in un certo qual modo, prevedibile e forse un po’ troppo stucchevole ma è graziato dall’utilizzo azzeccato della splendida Atmosphere dei Joy Division. L’uso della musica è centrale in Hounds of Love, a partire dal titolo, ispirato al celeberrimo pezzo di Kate Bush che Young non ha potuto inserire in quanto i diritti erano troppo costosi: la bellissima Nights in white satin dei The Moody Blues (celebre anche qui da noi grazie alla cover de I Profeti “Ho difeso il mio amore”) non sarà più la stessa dopo la visione del film. Hounds of Love è opera tagliente, cruda e ammaliante, dolorosa e disperata, magnifica nel suo realistico squallore, scritta e girata ad arte: Ben Young è decisamente uno di quei nomi da tenere d’occhio.