Human Zoo
2020
Human Zoo è un film del 2020, diretto da John E. Seymor.
I film sono davvero strani. Ce ne sono alcuni talmente belli da lasciarci incollati allo schermo dall’inizio alla fine. Altri invece, talmente beceri e insulsi, da scoraggiare la visione già dopo il primo minuto. Ma i peggiori in assoluto sono quelli che, come Human Zoo, comunque li si voglia mettere, non sono né carne né pesce. Per poter ambire ad esser carne l’opera seconda di John E. Seymor avrebbe infatti dovuto essere un trap movie con tutti i sacri crismi del caso, nonostante l’indubbia difficoltà nel cavar fuori qualcosa di anche solo vagamente fresco da un genere in profonda crisi d’identità. Al contrario, per esser pesce, questo anonimo prodottino sarebbe dovuto apparire come un’arguta, tagliente e ben orchestrata indagine sociologica riguardo i rischi dell’isolamento prolungato sul corpo e la mente umani. Niente di tutto questo purtroppo, poiché il Nostro, evidentemente non proprio un asso della macchina da scrivere né tantomeno di quella da presa, imbastisce oltre un’ora e quaranta di gente in preda a interminabili deliri da abbandono forzato, in quello che appare in un primo momento come qualcosa di davvero interessante ma che, col procedere dei lunghi minuti, finisce solo e soltanto per annoiare a morte.
La premessa alla base di Human Zoo appare già di per sé fra le più ritrite del circondario, con un nutrito gruppo di disadattati esemplari di homo sapiens che, dopo un prologo decisamente troppo lungo a suon di casting e confessionali modello Grande Fratello, viene scelto per partecipare a un insolito reality show nel quale, per chi riuscirà a resistere il più a lungo possibile in completa solitudine all’interno di un’angusta cella, vi è in palio all’orizzonte un premio di ben un milione di dollarozzi. Il problema è che, una volta superata l’euforia iniziale e sperimentata la nuova condizione di solitari prigionieri, la vita dei nostri amici inizia a farsi decisamente dura, portandoli ben presto a scoprirsi non più concorrenti ma, con grande probabilità, cavie umane di un qualche sadico esperimento. Non serverà dunque a nulla gridare o sbattere la testa contro il muro, poiché il gioco è solo all’inizio e le rotelle pronte a saltare non scarseggiano di certo.
Inseguendo la sempreverde moda dei trap movie a sfondo sociologico inaugurata dal mitico The Cube e recentemente rivitalizzata da ottimi prodotti come Il buco e Vivarium, Human Zoo apparecchia una piccola fiera in diretta televisiva dell’abbruttimento e della regressione umana causati dalla mancanza prolungata di contatto sociale, esplorando con sorprendente lucidità il modo con cui ciascun individuo tende a reagire dinnanzi alla consapevolezza di essere divenuto niente più che un topo in gabbia. Il fondamentale problema è che tutte queste belle e oneste intenzioni vengono messe in scena in una maniera totalmente priva di stile, tensione e, soprattutto, di ritmo. Al di là di una poverissima estetica da telecamere a circuito chiuso che, già dopo la prima mezz’ora, causa un pericoloso e fisiologico calo della libidine filmica, il vero punto morto di tutta la baracca sono infatti i tempi narrativi. Nonostante l’indubbio sforzo, il nostro caro Seymor pare proprio non azzeccarne nemmeno uno, montando il tutto in una maniera decisamente soporifera e totalmente inadatta a valorizzare la lezione morale ben celata al di sotto di tutta questa incrostata mancanza di talento. Fossimo gente cattiva potremmo affermare senza alcun ritegno che Human Zoo è un film totalmente inutile. Ma poiché siam persone di un certo garbo, anche solo per riconoscere l’indubbio valore della performance recitativa globale e cercando di giustificare il cachet di Robert Carradine ci limitiamo a considerare che una sola visione può bastare e avanzare.