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Husk

2011
Titolo Originale:
Husk
REGIA:
Brett Simmons
CAST:
Devon Graye
Wes Chatham
C. J. Thomason

Il nostro giudizio

Husk è una produzione After Dark con una confezione di tutto rispetto: grazie a un ottimo senso del ritmo, nella sua ora e venti riesce a condensare paure e suggestioni che il cinema horror non ha mai approfondimento veramente.

Ouverture al sangue con tempesta di corvi esageratamente simile a quella di Zombi 3 per essere una casuale trovata narrativa. E meno male, verrebbe da dire per inciso, visto che qualcuno quel film lì l’ha visto e ammirato a dispetto delle tradizionali stroncature. L’inizio è tutto un tripudio di budella aviarie che si spiaccicano sul parabrezza, bei suoni mollicci d’accompagnamento e piumate mucillaggini ovunque, poi il soggetto si discosta dalla saga fulciana per assomigliare piuttosto, ma solo per una questione d’atmosfera più che per contenuti, a Jeepers Creepers. A ben guardare, in questa produzione After Dark, imparentata con il solito Syfy, qualcosa di zombesco c’è, oltre ai vari riferimenti ai campi kingiani: nel caso specifico le vittime di misteriosi spauracchi che, massacrate a chiodate sulla capoccia, si trasformano in catatonici revenant con un debole per la sartoria. Si mettono alla macchina da cucire, si imbullonano le dita con rugginosi arpioni e si preparano un bel sacco di juta con cui coprirsi il volto. Poi si appendono a una croce in mezzo al frumento e spaventano gli uccellacci, discendendone di tanto in tanto per mietere i malcapitati di turno, in una specie di pandemia agricola dagli esiti esponenziali.

Il perché di tutto questo non è facile a dirsi, anche se alla base c’è una brutta storia di amori fratricidi, percepita dall’occhialuto Scott (Devon Graye) in una sorta di flashback, con un fratello mezzo scemo che ammazza l’altro e lo attacca tra le spighe, dopo aver fatto fuori pure il padre padrone. Quando si torna alla realtà, però, non sembrano esserci rimedi per spezzare la plumbea maledizione, così ai giovani sopravvissuti non resta altro da fare che starsene rintanati nella fattoria, l’unico luogo, sembrerebbe, in cui gli spauracchi non possono mettere piede. Il problema è che i campi pulsano di un’energia preternaturale e negativa che, seducendo gli sventurati con strane allucinazioni, li spinge ad inoltrarsi nel verde, uno per uno.

Tutto comincia nel 2005, quando Brett Simmons presenta al Sundance un cortometraggio di circa venticinque minuti (disponibile su Vimeo) che, pur offrendo attori diversi, tra cui lo stesso regista nella parte del protagonista Brian, condivide con questo Husk del 2011 sia il titolo sia il soggetto. Anzi, si potrebbe quasi parlare di una gemellanza omozigote, perché montaggio, fotografia e scelte narrative sono pressoché identiche. Simmons ha fatto bene i suoi calcoli, si è auto-pubblicizzato il suo demo in una vetrina internazionale e poi, trovati i capitali necessari, ha smontato e ricostruito la creatura, mantenendone inalterato però lo spirito. Qualche nome famoso non manca, come Wes Chatham, l’attore di Nella valle di Elah (Paul Higgis, 2007) e W. (Oliver Stone, 2008), gli altri vengono tutti dal piccolo schermo.

Per essere un film televisivo, Husk fa una bellissima figura, perché ha senso del ritmo, vanta una confezione di tutto rispetto e nella sua relativa brevità (meno di un’ora e venti) riesce a condensare paure e suggestioni che il cinema horror non ha mai approfondimento veramente. È curioso notare, infatti, che la figura dello spaventapasseri, vero e proprio manuale del perturbante, solo di rado ha sfiorato il concetto di orrore, restando relegato per troppo tempo a margine della sua storia. Potrà anche non piacere, ma Brett Simmons ha aperto una porta. Speriamo che faccia proseliti.