Il boss
1973
Il boss è un film del 1973, diretto da Fernando di Leo.
Vale ancora la considerazione che veniva fatta nel dossier di Nocturno nr 14 dedicato a di Leo (AD 2003, lui ancora in vita) a proposito della scelta ambientale di Il boss. La scelta di affogare la città in un costante notturno, niente luce, niente mare, niente fichi d’india, niente di niente che parli della sicilianità da cartolina che veniva illustrata negli altri film che parlavano di mafia, anche i film alti, d’autore. Il folklore ambientale non c’è. E anche di giorno, il cielo che grava sopra la cattedrale di Palermo è cinereo, livido, ha la stessa tinta del ferro, è un drappo funebre o un sudario, meglio ancora, che gli dei hanno steso sopra una città morta. Quando lo annunciano si intitola I boss, al plurale, e manifesta un tentative cast molto diverso da quello che poi andò a costituire il film: c’era anche Romolo Valli. Di Leo non si ricordava di questa fase, ma diceva che il film lo aveva pensato fin da subito così: la storia di un picciotto che è stato allevato da un capo mafia, gli è diventato fedele come un cane ma che a un certo punto è costretto a obbedire a ordini superiori che gli impongono di ammazzare il padrino. E lui lo fa.
Lanzetta, Henry Silva, è un sicario che va per le spicce e risolve tutti i problemi che gli si mettono sulla strada. L’hanno vista tutti la scena iniziale del film, quando fa irruzione nel “cinemetto porno” e massacra i presenti sparando granate in sala. «E solo uno con la sifilide al cervello come Lanzetta può andare in giro a sparare con un lancia-granate! Cristo che fenomeno!», commenta un avversario. Palermo come il Vietnam, si ricorre ormai al napalm. Henry Silva che ha una faccia che sembra un blocco di ardesia, si trova messa accanto, a integrazione e contrasto, come piaceva a di Leo che questo tipo di accostamenti li sapeva fare e sviluppare, una ragazza figlia del padrino che ha ammazzato e che è una ninfomane amorale scatenata: Antonia Santilli, personaggio che in un’altra vita abbiamo contribuito a far diventare di culto tra gli iniziati al bis italiano. Però era stata presa con avvedutezza, non solo perché di aspetto siculo ortodosso, capelli neri occhi neri sguardo nero, ma perché doppiata nel modo giusto usciva fuori dal film come uno di quei grandi caratteri femminili per i quali il cinema di Fernando andrebbe anche ricordato, oltre che per tutto il resto. Figure libere, indipendenti, signore di sé, all’avanguardia. Donne padrone della propria vita e della propria sessualità, gettate in mezzo a un mondo antico, immobile, pieno di polvere e di sangue.
Il boss che nominalmente deriva da un romanzo americano di Peter McCurtin, ha di nuovo e di esaltante soprattutto questo, la giunzione impossibile tra la machine gun senza sentimenti che è Lanzetta e la libertina senza morale che interpreta la bella Antonia. Di Leo va cercato dove c’è e in questo caso lui è qui, dentro questo rapporto impossibile, la versione noir e da mattatoio di un Ultimo tango a Parigi che ancora non esisteva, che non può che andare a finire in un unico modo, e lo sappiamo fin dal principio, ma nondimeno ci spiace anzi ci mette un groppo in gola vedere il risultato di quella raffica sparata dentro alla porta che la centra, Antonia. A terra, lui le carezza per tre secondi la testa, poi si alza e va via: ecco l’immagine per il film. Fernando voleva creare i presupposti per qualcosa di diversamente intimo e racchiuso e prezioso – seppure in maniera feroce –, una bolla protetta che galleggia nell’aria nera e tempestante rosso della Palermo dei cadaveri martoriati, delle granate, dei tradimenti, delle stragi, delle connivenze. E che non può, alla fine, non dissolversi in uno scoppio. Anzi in un soffio.