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Il cecchino

2012
Titolo Originale:
Le guetteur
REGIA:
Michele Placido
CAST:
Daniel Auteuil (Mattéi)
Mathieu Kassovitz (Vincent Kaminski)
Olivier Gourmet (Franck)

Il nostro giudizio

Il cecchino è un film del 2012, diretto da Michele Placido.

Tutti abbiamo visto Romanzo Criminale, il film che ha portato al regista e produttore Michele Placido David di Donatello, Globi d’Oro, Nastri d’Argento. Oltre a premi e riconoscimenti di ogni tipo e che ha scatenato – grazie anche a due stagioni di una serie televisiva ben realizzata – un vero ritorno di fiamma, almeno in Italia, di certi modelli “maledetti” della nostra cronaca nera. Modelli che Placido è riuscito a rendere affascinanti e tanto attraenti quanto più distanti nella memoria. E lo stesso regista ha cercato di prolungare quell’onda “lunga” spostandosi a Milano per raccontare di Renato Vallanzasca. Dopo alterni responsi della critica al Festival di Venezia, però, è stato il pubblico a non premiarlo, decretando una sorta di inversione di tendenza causata da “sovraesposizione criminale”.

Noir e poliziesco restano, però, nel cuore del regista pugliese e, a soli due anni di distanza, eccolo ritentare quella strada. In un contesto più adatto e predisposto, quello francese. Nella cinematografia transalpina, infatti, poliziesco e noir si fondono da sempre nel polar, genere tipicamente cupo e spesso violento, al di sopra del bene e del male, nel quale morale e legge si fondono con dinamiche e debolezze umane fino a sbiadirne i confini…

Questo, d’altronde, è ciò che accade ne Il cecchino, dove si intrecciano le vite di un commissario di polizia, facile all’ossessione (il capitano Mattei interpretato da Daniel Auteuil) e un silenzioso cecchino (Mathieu Kassovitz), membro di una banda di inarrestabili rapinatori di banche, di cui fa parte anche il tormentato Nico (Luca Argentero). La banda sarà costretta a riparare dal compiacente e poco limpido medico (Olivier Gourmet) per dividere la refurtiva… Ma la matassa si complica quando Mattei entra in contatto con la moglie di Nico, Anna (Violante Placido), e quando si iniziano a delineare radici che affondano fino alla guerra in Afghanistan, dove il commissario aveva perso il proprio figlio.

Risultano subito evidenti, per quanto Placido stesso presenti questo film come il suo “Romanzo Criminale francese”, le differenze con quel passato. In comune c’è la produzione del film da parte di  Fabio Conversi (Babe Films, di stanza a Parigi). Il legame tra la sua casa di produzione e il cineasta italiano ha infatti importanti precedenti (Vallanzasca, Il grande sogno, oltre alla versione cinematografica dell’epopea della Magliana) e non sorprende, quindi, il desiderio di affidarsi ancora una volta a Placido cui avevano guardato anche Cedric Melon e Denis Brusseaux, qui sceneggiatori esordienti. «Stavolta ho girato un film del quale, nel bene o nel male, non ho scritto una  riga», ci tiene a specificare il regista.

Un breve incipit ci presenta i protagonisti e la linea principale della vicenda. Con qualche lieve tentennamento nell’orchestrazione della doppia operazione iniziale, tanto dei malviventi impegnati nel furto quanto degli agenti che devono incastrarli. Indubbiamente è stata concessa al regista la libertà di girare scene avvincenti e complesse, a prescindere dalla loro verosimiglianza; e a prescindere, anche, dal misurato realismo di una squadra mobile addestrata per un’azione in cui si dimostra particolarmente goffa e inetta. Peccati veniali, certo, che non guastano l’impressione complessiva di un buon prodotto di genere, realizato da un cineasta capace e vicino a certe tematiche.

«Ho conosciuto esseri umani che hanno fatto del bene e del male, e li ho guardati negli occhi», spiega ancora Michele Placido, chiarendo molto più di quel che sembrerebbe.

Un film, Il cecchino, che – dichiaratamente – vuole affrontare anche tematiche sociali e politiche (l’Afghanistan, la corruzione, la decadenza occidentale) al centro delle quali  il regista  pone l’uomo. Il suo sguardo ha velleità antropologiche, encomiabili, solo a tratti stridenti con l’azione prevista. Fondamentalmente, i tanti personaggi e la necessità di tenere alta la tensione a rischiano, episodicamente, di gravare lo sviluppo di troppe responsabilità.

Tra thriller e fiction, Il cecchino, questo polar-melange non delude, soprattutto per l’originalità dell’idea di partenza e della concatenazione degli eventi e dei rapporti tra i personaggi. Ma richiede un po’ di pazienza e di attenzione al fine di evitare di finire fuori strada o di trovarsi persi tra parallele che si incrociano molto più di quel che la geometria cinematografica consentirebbe…