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Il Gattopardo

2025
Titolo Originale:
Il Gattopardo
REGIA:
Tom Shankland
CAST:
Kim Rossi Stuart (Don Fabrizio Corbeda)
Deva Cassel (Angelica Sedara)
Benedetta Porcaroli (Concetta)

Il nostro giudizio

Il Gattopardo è una serie televisiva del 2025, diretta da Tom Shankland.

Michele Anselmi, già attento critico cinematografico de L’Unità (quella vera), recensendo su Cinemonitor la serie Netflix Il Gattopardo, dal romanzo che Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrisse fra il 1954 e il 1957, consiglia di annullare dalla nostra mente Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti prima di affrontarla. Analogo invito è giunto, nel corso della conferenza stampa della presentazione della serie, da Tinny Andreatta, il vicepresidente “contenuti” Netflix Italia: lasciate perdere Visconti, noi ci siamo ispirati al romanzo. Ok. Dovremmo dunque – accingendoci, piazzati in poltrona davanti alla tv per 347 minuti (6 episodi) a goderci la mini (si fa per dire) serie in sei puntate – dal fare alcun paragone con il capolavoro viscontiano. Sfida accettata, ma  subito persa: chiunque conosca e abbia amato il film di Visconti (e siamo in tanti) non può farcela a guardare la serie Netflix senza che i nostri antichi pensieri non ci riportino ai volti di Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Lucilla Morlacchi, Romolo Valli, Rina Morelli (nella serie la moglie del principe è una giovanotta) e via stupefacendoci e alla sontuosità e la ricerca formale del film del ’63. Si tratta del nostro immaginario collettivo. Salvo, forse, attraverso un lavaggio del cervello che cancelli le nostre memorie.

Detto ciò, la serie Netflix offre anche cose buone oltre alle cattive. Ad esempio Benedetta Porcaroli, che interpreta Concetta, la sfortunata figlia del principe di Salina alias Il Gattopardo, è bravissima. Come bravo è anche Francesco Colella nella sordida parte dell’arrampicatore sociale don Calogero Sedara, papà di Angelica. Ma due rondini non fanno primavera. Anche Kim Rossi Stuart se la cava bene nei panni che furono di Burt Lancaster. Vedete? Non ce la faccio, torno sempre a Visconti, stavolta con una notazione anagrafica: nonostante Lancaster avesse, quando girò il film, 49 anni (nel romanzo il principe ne aveva 57), Rossi Stuart ne ha di più: 55. Eppure Lancaster appariva assai più anziano e credibile di quanto non sembri Rossi Stuart nella serie (persino quando sta morendo, una morte, per altro, assente nel romanzo). Fatto sta che questo principe ‘seriale’ non dà l’idea che mi sono fatta di lui (e qui non parlo del film di Visconti, ma del romanzo). Del tutto inadatta alla parte di Angelica (che fu della Cardinale, scusate di nuovo, ma non posso astrarmi dal dimenticarla…) è, invece, Deva Cassell, figlia di Monica BellucciVincent Cassel, con le sue labbra ‘duck face’ e l’aria un po’ troieggiante (parlo del personaggio che interpreta, ovviamente…). Come pure fuori parte mi è parso il Tancredi interpretato dal bolognese Saul Nanni (“noto” per i giovanilistici Sotto il sole di Riccione e Love & Gelato).

Le location sono Palma di Montechiaro e Santa Margherita Belice nell’agrigentino (dove si ricrea la dimora del principe a Donnafugata) e Ortigia  (Siracusa). Alcuni interni sono stati girati nel settecentesco palazzo Comitini in via Maqueda  a Palermo come pure le sfilate dei garibaldini che si svolgono nei palermitani Quattro Canti (da siciliano li conosco molto bene, quei luoghi, sin da bambino…). La fotografia del danese Nicolaj Brüel (che ha lavorato con Matteo Garrone) è quasi sempre affascinante (salvo alcuni controluce da cartolina illustrata come quello di Concetta e Tancredi in dolce colloquio) e i costumi di Carlo Poggioli sono molto curati e credibili. In effetti è la sceneggiatura, come spesso accade, che perde colpi: è scritta da due inglesi, Richard Warlow e Benji Walter, con una produzione anglo-italiana. E anche le musiche di Paolo Buonvino, che pure lui è siciliano e che ha lavorato parecchio con Gabriele Muccino, mi pare scimmiottino un po’ troppo le note dei valzer verdiani e quelle di Nino Rota (ma non volevano diversificarsi dal film di Visconti?). Eppure c’è chi ha parlato, perbacco, riguardo a questa serie di «una rivoluzione copernicana, che scomoda in un sol colpo Edipo e il femminismo» (Francesca D’Angelo su Elle). Forse perché la serie punta molto più sulla figura di Concetta che non su quella del Principe di Salina. Il rischio, però, è quello di avvicinarsi pericolosamente alla telenovela romanticoide, ponendo in secondo piano la precipua profondità di campo della filosofia del romanzo di Tomasi.

Il regista (pure lui) britannico è Tom Shankland (due horror al suo attivo). Lui ha diretto quattro episodi e Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti uno a testa (come consuetudine, appurato che  nella maggior parte delle serie manca una regia omogenea, proprio a causa questo miscuglio di direzioni nei vari episodi). Eppure, poteva essere una rara occasione in cui sarebbe stato intelligente affidare la direzione a un regista italiano e siciliano (ad esempio Roberto Andò) e invece – pecunia non olet – si va a scegliere, probabilmente per motivi di co-produzione, oltre Manica. Ma a Netflix interessa soprattutto andare a pescare un pubblico giovane o giovanile o giovanilista che dir si voglia,  creando serie in base a canoni rigidamente precostituiti (vi ricordate la esilarante scena in cui Nanni Moretti offre un suo film a Netflix ne Il sol dell’avvenire?). Di questo passo assisteremo presto a una serie su Arancia Meccanica di Kubrick in salsa Squid Game?