Il ministro
2016
Il ministro è un film del 2016, diretto da Giorgio Amato
Dopo i thriller Circuito chiuso e The stalker, il milanese Giorgio Amato cambia genere e dirige Il ministro (2016), una tagliente black-comedy grottesca sugli scandali politico-economici dell’Italia di oggi ma anche sui vizi dell’italiano medio, messi letteralmente a nudo: un film di più ampio respiro (e budget, basti vedere il cast), fresco e audace, lontano dalle odierne commedie accomodanti, che si gode tutto d’un fiato tra risate a denti stretti e amare riflessioni (“Ispirato a fatti probabilmente accaduti”, recita la didascalia iniziale). Scritto dal regista stesso, ruota attorno a Rolando Giardi (Fortunato Cerlino), il ministro del titolo, e a Franco (Gianmarco Tognazzi), un imprenditore che per ottenere un appalto vuole corrompere il suddetto. A tal fine, organizza a casa sua una cena galante con la moglie, il cognato e una escort per intrattenere l’onorevole dopo la consegna del denaro: la prescelta viene però investita da un’auto la sera stessa e sostituita con una ragazza cinese. La serata non procede secondo i piani: l’orientale si rivela solo una studentessa e ballerina di burlesque, mentre si inaspriscono i rapporti tra i commensali. Le tre donne sono oggetto di attenzione da parte del ministro, e il tutto prenderà una piega inaspettata.
Sotto la berlina di Amato finiscono non solo il berlusconismo e il bunga-bunga, ma tutto il sistema socio-politico dalla Seconda Repubblica in poi, fatto di tangenti e degenerazione morale – ministro e imprenditore sono corrotti, frequentatori di escort e consumatori di cocaina. Amato ricrea con una certa efficacia l’atmosfera della commedia all’italiana classica, quella che riusciva a ritrarre le magagne della società attraverso spietati ritratti in agrodolce – e nessun genere riesce a raffigurare un’epoca come la commedia, sosteneva il maestro Fernando Di Leo. La metaforica inquadratura iniziale sullo sterco del cane, la vestizione della splendida escort a seno nudo (Giulia Di Quilio) e la ragazza abbandonata moribonda sulla strada – impossibile non pensare all’episodio con Alberto Sordi de I nuovi mostri – fanno ben sperare per il proseguo del film, che infatti non delude. Quasi tutta la storia si svolge all’interno della casa, dunque è giocata sulla bravura degli attori e sui caustici dialoghi riguardanti politica, vita privata, filosofia e religione, con impagabili battute al vetriolo. Il figlio di Ugo Tognazzi fa a gara di viscidume con il co-protagonista Cerlino (don Pietro Savastano nella serie Gomorra), incarnazione del politico nella sua accezione più becera, affamato di donne e potere («Il potere eccita» è la sua massima).
La famiglia vive in un clima da “parenti serpenti” monicelliani, con il nevrotico Tognazzi, la moglie insoddisfatta sessualmente (Alessia Barela), l’imbranato fratello di lei (Edoardo Pesce) e la domestica di colore (Ira Fronten). Detonatore del disastro è l’incontro fra il ministro e la ballerina cinese (Jun Ichikawa, in realtà giapponese e che ricordiamo fra le streghe della Terza Madre argentiana). Abbastanza osé (per quanto possibile in un film destinato alle sale) la svolta erotica che Il ministro prende nell’ultima parte, la più raffinata esteticamente con un uso creativo di fotografia e musica. Fra la Barela e la Ichikawa nasce un’attrazione che sfocia in un focoso bacio lesbo durante lo spettacolo di burlesque, poi reiterato sul pianerottolo e nel notevole rapporto sessuale a quattro, con le tre donne che finiscono tutte insieme a letto col ministro in un’orgia interraziale di sesso e droga.