Il nemico
2023
Il nemico è un film del 2023, diretto da Garth Davis.
La lontananza, sai, è come il vento. Se tuttavia il grande Modugno era solito abbandonarsi all’allegoria, le pagine di Iain Reid – e, di conseguenza, l’obiettivo di Garth Davis – hanno scelto di parlarci fuori da qual si voglia metafora. È infatti l’insidioso spettro di un’empirica lontananza quello che, proprio come Il nemico che dà il titolo a questo pretenzioso kammerspiel fantascientifico, incombe sulle confuse e screpolate testoline di Junior (Paul Mescal) ed Henrietta (Saoirse Ronan); entrambi prigionieri di un settennale matrimonio ormai prossimo a collassare così come lo sterile mondo sul quale il desertico vento dell’apocalisse pare soffiare, lento ed inesorabile, il proprio alito di morte. La fine di un amore ancor prima che la fine dei tempi, laddove due opposti, contrariamente al ben noto proverbio, più che attrarsi finiscono involontariamente per respingersi. Due estranei in casa propria, costretti a veder corrodersi tanto il desolato orizzonte che incombe al di fuori delle finestre quanto lo stesso legame maldestramente coltivato fra quelle diroccate mura a loro volta corrose da insetti di ogni genere. Lui, cinico e razionale, disposto a mantenere imperituramente lo status quo anche dinnanzi all’annunciata catastorfe, vedendo i propri vaghi sogni di grandezza nascere, crescere e morire entro gli ormai pochi aridi ettari della vecchia fattoria di famiglia.
Lei, curiosa e insofferente, desiderosa di prendere di petto le difficoltà per acchiappare un “di più” che il proprio compagno non pare disposto o interessato ad inseguire. Ed è proprio nel mezzo di questo naufragio sentimentale – sullo sfondo di un riarso Midwest che pare uscito dalle primissime cataclismatiche sequenze del nolaniano Interstellar – che, non dal nulla ma direttamente dai laboratori dell’avanguardistica OuterMore, giunge all’improvviso il misterioso Terrance (Aaron Pierre), portando con se una tutt’altro che lieta novella. Pare infatti che lo schivo Junior sia stato selezionato per partecipare, suo malgrado, ad un pionieristico programma spaziale per testare l’effettiva futura capacità di sopravvivenza della restante umanità al di fuori del proprio morente pianeta, dovendo dunque rimanere per circa un anno in orbita attorno alla moribonda Terra lasciando tutta sola soletta la propria insoddisfatta dolce metà. Ed è proprio per alleviare gli inevitabili disagi della sopracitata infingarda lontananza che questo nuovo machiavellico ambasciatore – divenuto nel frattempo analista, confessore e perturbante osservatore di questa coppia scoppiata – tirerà fuori dalla propria sperimentale saccoccia un provvidenziale e ultratecnologico deus ex machina: un innovativo “sostituto biologico” – clone o replicante che dir si voglia – del momentaneamente assente padrone di casa, con cui gli occhi e il cuore dell’abbacchiato angelo del focolare potranno baloccarsi e tentare di trovare illusorio conforto.
Ma durante le due ardue e interminabili settimane che precederanno questo distacco forzato, ecco che il già precario equilibrio fra i nostri complessati protagonisti verrà ulteriormente messo a dura prova, trascinando entrambi in un vortice di emozioni contrastanti, conflitti esistenziali e crescente paranoia a cui solo un maramaldo – e dai più scafati intenditori decisamente subodorabile – colpaccio di scena potrà, forse, dare un minimo di senso. Si perché, perdonando lo stucchevole giochino di parole, l’unico vero nemico di un film come Il nemico non risiede nei soliti ultracorpi, simbionti o invasori From Outer Space, quanto piuttosto nella sua perenne indecisione. Dramma fantascientifico? Thriller psicologico? Orrorifica distopia ambientalista? Oppure, uscendo nuovamente dagli angusti confini della metafora a buon mercato, l’impietosa analisi di un amore tossico quanto se non più del desolante 2065 nel quale questo prossimo-futuristico melò in odore di Xavier Dolan è ambientato? È ovviamente una fantascienza profondamente (ed insistentemente) esistenzialista quella che trasuda dall’altezzosa sceneggiatura co-scritta dallo stesso Reid, nella quale il simulacro tecnologico si fa McGuffin di una crisi a lentissima carburazione scaturita da quel non detto, da quella soffocante sete di reciproco possesso e dal tarlo delle aspettative disattese che inducono una coppia a comprendere come, a volte, la separazione sia di fatto l’unica vera soluzione possibile. Quella già lungamente decantata lontananza che, più che per ritrovarsi, serve in primis a ritrovare sé stessi. E se è pur vero che, come si sul dire, un’immagine vale più di mille parole, stavolta pare proprio di trovarsi al cospetto di un’opera che probabilmente vale molto più per i valori che tenta faticosamente di veicolare che non per il suo effettivo valore cinematografico.