Il notturno di Chopin
2013
Il notturno di Chopin è un film del 2013, diretto da Aldo Lado.
Un pomeriggio come tanti. Un parco cittadino. E una bambina che gioca con un’amica sotto gli occhi della madre. Poi, mentre tutto sta andando come dovrebbe, un fresbee cade oltre una siepe. La bimba va per raccoglierlo. E dietro alla siepe, ad attenderla, trova il buio. La piccola si risveglia in un posto alieno. Un enorme scantinato con le pareti dipinte di rosse, nel quale ci sono solo una brandina, cumuli di vecchi giornali e scatole piene di lampadine. In alto, una finestra con le sbarre, sembra essere l’unica via di comunicazione con l’esterno. La porta massiccia che chiude all’interno la piccola è un’invalicabile e muta montagna di ferro. La bambina ricorda, a sprazzi, che qualcuno l’ha addormentata per portarla qui, dentro questo silenzioso carcere senza scampo. Ma chi? E perché?
Come nel suo primo film di oltre quarant’anni fa, La corta notte delle bambole di vetro, anche in quest’ultimo Il notturno di Chopin, Aldo Lado racconta di una sparizione. Ma se allora, il mistero della scomparsa di qualcuno si prestava ad essere indagato dall’esterno, aprendosi alla scoperta di un intrigo nero sconcertante, oggi il regista cambia la prospettiva per sposare il punto di vista della vittima. La protagonista, Sofia Vercellin, di nove anni, è intrappolata in un luogo “interiore”, dai muri scarlatti come le viscere di un corpo che l’abbia, senza che la metafora appaia eccessiva, divorata e inghiottita. Tant’è che Lado e la sua scenografa Alessandra Rapattoni hanno pensato alla prigione come a qualcosa di simile a un fegato. Nonostante i segnali che giungono da dietro le pareti vinacee – un’altra ragazzina è intrappolata in una camera adiacente e la presenza del rapitore-orco si manifesta per mezzo dei rumori di attività quotidiane e con Il notturno di Chopin suonato su un pianoforte –, la scelta di concentrare l’attenzione registica sulla sola protagonista e sul perimetro interno del carcere, potrebbe indurre alla tentazione di credere che quello che la bambina sta vivendo sia un sogno. O che quello spazio rossastro sia soltanto un luogo della sua mente.
Anche perché le rare visoni che Lado propone dell’esterno – a parte il lunghissimo piano sequenza girato all’inizio nel parco, quando la bimba viene rapita – spiate attraverso l’orifizio di una finestra, continuano un linguaggio simbolico che appare scelta premeditata e consapevole: un fiume in piena, uno stretto ponticello in ferro che unisce la sponda dove si trova la piccola e la riva opposta, un cielo dalle tonalità indefinite, ora tersissimo ora imbiancato dalla nebbia. Come se il reclusorio si trovasse fuori dal tempo e dallo spazio concreti e affacciasse su una dimensione astratta, rarefatta, metafisica. D’altra parte, nella misura in cui la narrazione sposa il punto di vista della piccola Sofia, è coerente e logico che il mondo che noi vediamo sia quello che vede lei, attraverso i suoi occhi di bambina di nove anni. Psicologicamente, una scelta incisiva e che ben si sposa con il coté eterodosso e attratto dal surreale che ha sempre contraddistinto la visione cinematografica di Lado. Nelle cui migliori riuscite la verità nuda, cruda e crudele celebra le nozze con il gusto per lo speculativo e l’intangibile.
Il notturno di Chopin è un oggetto d’arte: un film “chiuso” che nasconde la perla di una prova d’autore sotto il carapace di una situazione sgradevole, che denuncia l’orrore della violenza sui minori. E il fatto che non ci sia alcuna corrività efferata nel mettere in scena questa storia di orchi, la rende ancora più insostenibile. Sofia Vercellin affronta il cimento con una perfetta attitudine al ruolo e con la giusta predisposizione interiore per essere plausibile: disperazione e abbrutimento non si impadroniscono mai di lei, che per legge cinematografica deve vivere momenti di eroismo, come quando sfida il suo invisibile carceriere cantando Bella ciao o quando la visione di un corteo funebre lungo la riva del fiume, la motiva a combattere la sua battaglia più impegnativa contro il destino funesto. Resta la sorpresa – ma attenzione: trattasi di un film di Aldo Lado – su come vada a finire…