Featured Image

Il profumo della signora in nero

1974
Titolo Originale:
Il profumo della signora in nero
REGIA:
Francesco Barilli
CAST:
Mimsy Farmer (Silvia Hacherman)
Maurizio Bonuglia (Roberto)
Mario Scaccia (Signor Rossetti)

Il nostro giudizio

Il profumo della signora in nero è un film del 1974, diretto da Francesco Barilli

Silvia Hackerman, una giovane chimica, è traumatizzata dal ricordo di un amplesso della madre con un amante, al quale ha assistito da piccola. La fragile psiche della ragazza, che vive di piccoli riti e di fobie, tracolla nel momento in cui il suo universo viene invaso da una serie di segnali sinistri. Ma è proprio follia, la sua, o esiste davvero un’oscuro disegno intorno a Silvia? Il direttore dei trucchi Euclide Santoli, nell’illuminante L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti di Fofi/Faldini dice una cosa molto divertente: «Nel film di terrore la fantasia del truccatore è importante, ma nei film di terrore la base era sempre un pittore che si chiama Bosch. Quando il regista era incerto, non sapeva, non riusciva a vedere quello che sarebbe potuto venir fuori, gli si chiedeva: “Lei consoce Bosch?” E lì si trovava tutto. Fateci caso: tutti i cinematografari sanno chi è Hyeronimus Bosch»… Chissà se davvero tutti i “cinematografari” (termine bellissimo, tra il pionieristico ed il truffaldino) si dilettano con l’autore di Il Giardino delle Delizie: sul parmense Francesco Barilli metterei la mano sul fuoco. Nipote del musicologo Bruno Barilli, colto dandy prestato al cinema grazie a Bernardo Bertolucci (che lo volle come protagonista di Prima della rivoluzione), il Nostro esordì nella non facile arte del lungometraggio proprio con questo Il profumo della signora in nero.

Che all’epoca – anno di grazia 1974 – venne accolto con annoiata sufficienza dai critici “togati”.. Visto oggi, col senno di poi, anche alla luce di una sempre più oggettiva catalogazione dei “generi” nella politica “alimentare” del nostro cinema, Il profumo della signora in nero cela più di un asso nella propria manica. Certo, l’opera prima di Barilli nasce sull’onda degli entusiasmi (e degli ottimi incassi) generati dalla moda “gotico-paranoica” tenuta a battesimo dal Roman Polanski di Rosemary’s Baby. Ma Il profumo della signora in nero è senza dubbio diretto da un regista degno di questo nome: e senza dubbio da un “autore”, nonostante Barilli ci abbia donato, per il cinema solo un altro lungometraggio e mezzo. A dimostrazione, del suo solido mestiere basterebbe prendere in considerazione l’accorta direzione degli attori (fra cui spicca un Mario Scaccia più ipertiroideo che mai a dar quel sentore di palcoscenico che in una produzione del genere non guasta) e soprattutto il sapiente uso delle locations, l’accorta scelta degli ambienti: non è da tutti trasformare il quartiere romano di Coppedè in un asfittico labirinto degli orrori: non tutti sanno illuminare i tendaggi di un salotto piccolo-borghese alla Gozzano per mostrarne le polveri sedimentate e il putridume che si cela sotto alle sottocoppe di peltro e alla bottiglietta del rosolio…

Francesco Barilli vi riesce con rara maestria grazie all’attenzione quasi maniacale per i dettagli e per i colori e la sua compulsione al calligrafismo, spogliando sempre di più gli interni nei quali si agita la tremula “vittima designata” Mimsy Farmer, fino all’agghiacciante finale, a quell’osceno rito precipitato tra i chiaroscuri di una catacomba, eseguito in un gorgogliante e cerimoniale silenzio e ripreso con il lucido distacco dell’esteta.