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Il ragazzo dai pantaloni rosa

2024
REGIA:
Margherita Ferri
CAST:
Samuele Carrino (Andrea)
Claudia Pandolfi (mamma)
Andrea Arru

Il nostro giudizio

Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film del 2024, diretto da Margherita Ferri.

Il successo clamoroso de Il ragazzo dai pantaloni rosa, che si aggira intorno ai 4,5 milioni di incasso mentre scrivo, impone alcune riflessioni. La storia alla base ormai la conosciamo tutti, per fortuna: quella di Andrea Spezzacatena, quindicenne che si tolse la vita il 20 novembre 2012 a causa del bullismo. In verità all’inizio per motivo ignoto, finché la madre non aprì il suo account social di cui conosceva la password: un feroce bullismo nato sui banchi di scuola, dovuto alla presunta omosessualità del giovane, che aveva portato perfino alla creazione del gruppo Facebook per deriderlo, che dà il titolo al film. Il povero Andrea non aveva fatto altro che indossare un paio di pantaloni rosa, appunto, che si erano scoloriti dopo un passaggio sfortunato in lavatrice. Il film è la messa in scena di questa vicenda: tratto dal libro che la stessa mamma ha scritto, portato sullo schermo dalla regista Margherita Ferri, che aveva già dato prova di sapienza e sensibilità nell’inscenare problemi di genere col precedente e più autoriale Zen sul ghiaccio sottile. Torniamo allora al percorso del film, apparso per la prima volta alla Festa di Roma in Alice nella città, ulteriormente diffuso per episodi che non vale la pena pubblicizzare (omofobia, ignoranza e rancore) e poi giunto nelle sale, proprio mentre si va diffondendo in altri festival internazionali: tra questi è in concorso al Tallinn Black Nights Film Festival. Il riscontro al botteghino, ripeto, è eclatante e impensato: il film è diventato un piccolo fenomeno e la gente si fionda in sala per vederlo, tanto da insidiare perfino Il gladiatore II di Ridley Scott. Perché e soprattutto come è successo?

Il ragazzo dai pantaloni rosa è una rappresentazione corretta della vicenda: narrato in voce off dallo stesso Andrea (Samuele Carrino) anche dopo la morte, comincia col parto della mamma (Claudia Pandolfi, il volto più noto) e squaderna la sua breve vita, che inciampa tragicamente quando attraversa il paesaggio dell’adolescenza. Ha un’amica che lo capisce, Sara Ciocca, ma l’incontro decisivo è col bullo interpretato da Andrea Arru, un nuovo “bellissimo” che avrà successo negli anni a venire; algido e impossibile, con quella fissità facciale che lo fa sembrare un ciocco di legno, è però anche ambiguo e concede ad Andrea un rapporto di attrazione-repulsione. Da Spezzacatena a Checcacatena il passo è breve, il bullismo si scatena feroce. Il racconto viene impaginato in modo corretto, commosso e patetico nel senso di pathos, non a caso è stato opportunamente citato il lacrima movie, di cui rappresenta una versione contemporanea: i visi sono belli, puliti, inamidati, il percorso è attraverso stereotipi palesi (l’amica dark, la rottura tra i genitori ecc.), l’abisso oscuro viene sondato senza mai scendere in profondità. Tutto, per paradosso, è luccicante e superficiale.

Guardando con attenzione Il ragazzo si impone allora un problema di linguaggio. Il senso dell’operazione è evidente e anche legittimo: usare un registro giovanilistico di oggi, o meglio ciò si ritiene tale, allestire una storia dal messaggio incontestabile stando attenti però anche a non disturbare troppo il pubblico. Devi piangere, non devi chiudere gli occhi. La prima cosa che viene in mente è la serie Skam Italia, che vanta però ben altra profondità, e negli anni è stata in grado di spaccare le questioni adolescenziali (politiche, sociali, di genere) con un occhio profondo e sfaccettato, facendo così del linguaggio popolare un punto di forza. Skam dunque sarebbe il modello a cui Il ragazzo non arriva. Ovviamente, non si può chiedere una rappresentazione dell’adolescenza alla Bret Easton Ellis, o in alternativa alla Wasted on the Young, il titolo di Ben C. Lucas che derivava dal geniale aforisma di Shaw (“La giovinezza è sprecata per i giovani”). Ma anche da queste parti, nel suo piccolo, una tale violenza è stata descritta ne L’acqua del lago non è mai dolce, il potente romanzo di Giulia Caminito che portava i bulli sul lago di Bracciano. Insomma, la lingua de Il ragazzo dai pantaloni rosa è smaccatamente per tutti, “giovane”, sincera, racconta una cosa terribile ma senza violenza, aggirando ogni angolo buio con l’aiuto della dissolvenza: anche dalla sua essenza dipende il botto commerciale, che non si può spiegare solo con lo spirito del tempo. È un patto col diavolo: dammi la visione più comoda possibile e io ti darò il successo. Che poi il bullismo sia il vero diavolo da prendere per le corna, su questo non ci piove.