Il talento del calabrone
2020
Il talento del calabrone è un film del 2020, diretto da Giacomo Cimini.
Chiudiamo in bellezza la nostra breve rassegna sulla trentesima edizione del Noir in Festival con il sorprendente thriller/noir italiano Il talento del calabrone di Giacomo Cimini, in concorso per il Premio Caligari. Un film che sarebbe dovuto andare in sala nel marzo scorso, ma che, vista la situazione, è stato distribuito a novembre direttamente su Amazon Prime Video. Si tratta del secondo lungometraggio di Cimini, che aveva esordito nel 2003 con il thriller orrorifico Red Riding Hood, per poi dedicarsi a svariati cortometraggi e alla serie-tv Delitti. Il regista si cimenta qua in un film ambizioso, frutto di una grossa produzione (insieme alla Paco Cinematografica c’è anche la Eagle Pictures), e supera in pieno la prova del nove – poiché il budget da solo non è sufficiente, ci vuole il talento: e il talento del “calabrone” (il titolo è un po’ così, e magari non fa pensare a un noir, ma il film è efficacissimo) è anche quello di Cimini. Scritto dallo stesso regista insieme a Lorenzo Collalti, inizia in una notte come tante a Milano, mentre il Dj Steph (Lorenzo Richelmy) sta conducendo la sua trasmissione su Radio 105 e manda in onda le chiamate che riceve dagli ascoltatori. A un certo punto però telefona un uomo misterioso, tale Carlo (Sergio Castellitto), che è in giro in auto per la città, e annuncia di volersi suicidare in diretta facendosi esplodere e provocando quindi una strage. Entra in gioco il tenente dei Carabinieri Rosa Amedei (Anna Foglietta), che guida le operazioni dicendo al Dj come agire e cercando di risalire all’identità dell’uomo, un professore che ha perso la famiglia.
Carlo però vuole parlare solo con il ragazzo, al quale impartisce istruzioni sulla musica da mandare in onda, e inizia un gioco a distanza interagendo via social tramite un account chiamato “Calabrone”: non è chiaro che cosa voglia l’uomo, ma le sue intenzioni sembrano serie. Cimini ambienta la vicenda in una città notturna e ricca di contrasti fra luci e buio che richiama il mondo visivo di Michael Mann e N.W. Refn: perché la metropoli con i suoi grattacieli, le mille luci e i neon dello studio radiofonico che attraversano tutto lo spettro dei colori, vengono innegabilmente da lì, dalle Strade violente e da Heat, che sono poi confluiti nel Drive di Refn. E il bello è che la regia di Cimini, coadiuvata dall’ottima fotografia di Maurizio Calvesi (uno che ha lavorato con registi come Caligari, Faenza, Andò e Ozpetek), ci riesce dannatamente bene. Prima ancora della storia, è l’elemento visivo a stupire per la sua ricchezza e il respiro internazionale: cioè la sensazione che il film è sì ambientato a Milano, ma potrebbe benissimo essere un’altra città (tanto che sul web leggiamo essere stato in realtà girato a Roma), e che finalmente l’opera è svincolata – anche narrativamente, vedremo – dal provincialismo. Cimini sa come dirigere e come costruire la suspense, che è mantenuta a livelli alti per tutto il film. Sempre per restare a Mann, viene in mente Collateral, con l’auto in giro per la città (anche se poi ci sarà una sorpresa, ma è vietato dire di più), e Blackhat, poiché Carlo è un esperto informatico che si collega in modo da non essere rintracciabile, e con un hackeraggio controlla la rete elettrica della città.
Il talento del calabrone non è però un action, bensì un noir metropolitano, un thriller psicologico con elementi hi-tech, tutto giocato sul duello a distanza fra il Dj e il professore. Personaggi a cui danno volto due bravissimi attori: Castellitto, uno dei migliori attori italiani degli ultimi anni che non ha certo bisogno di presentazioni, e Richelmy, noto per film come Dolceroma, Ride e La ragazza nella nebbia ma che ha lavorato anche con Verdone e i fratelli Taviani; un po’ meno convincente la Foglietta, relegata ai margini e spesso in overacting, ma comunque efficace, e una menzione va anche agli sciacalli della radio che vogliono sfruttare il suicidio in diretta per fare audience, un po’ come in Quinto potere. Il film guarda orgogliosamente ai modelli americani, da In linea con l’assassino a Die Hard 3 e Speed, fino a tutti i vari trap-movie dove i protagonisti sono al telefono o al computer, ma nel nostro non c’è azione, bensì una suspense palpabile e un’analisi psicologica non banale: un mistero che aleggia lungo tutta la storia per poi sfociare nel drammatico finale con vari colpi di scena, dove tutti i nodi vengono al pettine, e si capiscono bene l’obiettivo e i motivi del professore. Il quid che rende particolare Il talento del calabrone è proprio il suo saper trasporre questa dimensione americana nel nostro cinema, e il saperlo fare in modo efficace e credibile: uno status italiano e al contempo internazionale, lontano dal macchiettismo imitativo che vediamo troppo spesso e che rende insufficienti esperimenti dalle buone intenzioni – pensiamo, in tal senso, a 5 è il numero perfetto di Igort, che finiva per sembrare una parodia. Ricco anche il comparto musicale, che va dai brani tesissimi composti ad hoc alle musiche diegetiche trasmesse in radio, come il popolare Crazy e i pezzi di musica classica ordinati da Carlo.