In a Violent Nature
2024
A Violent Nature è un film del 2024, diretto da Chris Nash.
Canadians do it better! Mentre tutto il sottomondo trepida per l’uscita oramai imminente di Maxxxine, capitolo finale della trilogia di Ti West, un film piccolo piccolo, passato senza troppo clamore al Sundance, si fa strada con il passaparola nell’universo mondo. Produce Shudder, il che può essere una garanzia anziché no; distribuisce IFC Films, che ne ha ingarrate parecchie di recente, da Cuando Acecha la Maldad a Late Night With the Devil, tanto per dire. Stiamo parlando di In a Violent Nature di Chris Nash, esordiente al lungometraggio dopo aver diretto uno dei segmenti di The ABCs of Death 2. Nash è un multitasker, può essere regista, sceneggiatore, o creator di effetti speciali. In quest’ultima veste si era distinto nel 2020 lavorando per Psycho Goreman, il cult movie di Steven Kostanski che ridefiniva le traiettorie del teenage horror, virandole verso un sadismo moderno, freschissimo eppure diretto discendente di certe nuance anni 80 (Stand by Me o il cinema di Joe Dante). Kostanski è un nativo indie canadese, un indipendente che si porta appresso una combriccola di artisti, un po’ come Larry Fessenden dall’altra parte delle Niagara Falls. Fessenden suole accompagnarsi con Ti West, Kostanski invece con Nash, canadese anch’egli, divertendosi pure a scambiarsi di ruolo. Se Nash ha fatto gli effetti speciali in Psycho Goreman, adesso è Kostanski a farli per In a Violent Nature, e si parla di attività prostetica più che digitale. Fatta questa premessa di contesto, scendiamo nel merito di un film dal budget di produzione minimale: 600 mila dollari, secondo alcune fonti.
In a Violent Nature è la storia di un boogeyman (uno zombie, recita IMDB) che riemerge dalla terra del bosco di sepoltura quando qualcuno mette mano ad un ciondolo. Si tratta di una collanina donata da mammà, un talismano affettivo. Il redivivo è un ragazzo disabile di mente, corpo da energumeno ma cervello da 3enne, figlio di commercianti droghieri, ucciso in modo colposo da un’accolita di boscaioli che mal tolleravano i prezzi alle merci imposti dai suoi genitori, e che si rivalevano bullizzando il poverino. La morte era stata una disgrazia, ma l’occultamento del cadavere ed il travisamento dei fatti aveva generato la furia soprannaturale, con lo sterminio di tutta la comunità montana – somewhere in North Ontario – responsabile, a vari livelli, della tragedia. La collanina, conservata in loco insieme alle memorabilia della fu florida industria del legname, suggellava in modo precario il suo requiescat in pacem. Era destino, evidentemente, che essa venisse trafugata da ragazzi di oggi, ignari rappresentanti di una generazione inconsapevole, senza coscienza, senza passato. In a Violent Nature si presenta dunque come una mattanza sacrificale in ambiente silvicolo. L’ennesima, si direbbe, sulle orme di Jason Voorhees, tanto che qualcuno lo ha argutamente definito un film su J-A24-son . Invece, scava scava, è un film unico nel suo genere. In primis per le caratteristiche del boogeyman, che è sì vendicativo, ma anche, soprattutto, un ragazzo disabile. Il suo ritardo mentale pare riflettersi nella curiosità entomologica con la quale ammazza e scanna e squarta la comitiva; pare di vedere all’opera un bambino che strappa la coda ad una lucertola, o che infierisce su un formicaio. C’è dell’innocenza in lui, tanta quanto è lo zelo calvinista nello sterminare. Il mostro dall’oltretomba pare inoltre avere reminiscenze emotive, quando, passando davanti ad uno specchio, vive un flashback della sua famiglia felice e delle parole dei suoi genitori. Ecco allora che la questione si fa complessa, e viene fuori il genio di Chris Nash. La sua creatura non è un automa sterminatore, è ciò che resta di un ragazzino disadattato, traumatizzato, orbato dell’emotività e degli affetti, che reagisce in modo catastrofico all’indifferenza generale di un mondo cui è alieno, estraneo. Come fosse il protagonista di Elephant, o di Gerry, di Van Sant. Come fosse Kurt di Last Days, sempre di Van Sant.
Nash lo riprende da dietro in una successione di piani sequenza, segue il ritmo dei suoi passi nel bosco, indugia sulle sue pause stranite eppure colme di significato – quando da lontano guarda una ragazza attraverso una finestra, di notte, oppure quando guarda due trombamiche dall’altra parte di un lago. Pare di essere nella mente marcia di questo dead (non born) to kill, ed è un’esperienza immersiva, senza argini, capace di generare turbamento ma anche una perversa eccitazione. Perversamente eccitante è infatti lo scannamento di una ragazza intenta a praticare il tai chi, colta alle spalle ma che pure ha il tempo di girarsi, di guardare l’uomo del suo destino con le labbra ritratte come in un sorriso arcaico, prima di essere penetrata dalla lama e poi uncinata nella testa fino a conseguenze a cui nemmeno il Miike di Gozu avrebbe pensato. Ciascuna esecuzione ha un suo modus peculiare, un modus che sprigiona la capacità del regista-artista, perfettamente a suo agio nel girare in luce naturale, associando ai colori vivi del bosco, ai movimenti sinuosi della vegetazione un senso di pericolo incombente, di minaccia, molto simile al mood del Men di Alex Garland più che alle opere di Malick cui Nash stesso dichiara di essersi ispirato. In a Violent Nature è un film che spiazza, che fuorvia, che disturba, anche nell’anticlimax del suo epilogo. Dove l’audience, e le regole del genere, vorrebbero un redde rationem tra la cosa e la final girl, Nash ci piazza un racconto verbosisssimo in auto lanciata verso la salvezza, manco fossimo in Grindhouse di Tarantino. La donna alla guida narra le gesta di un povero parente, sopravvissuto ad un grizzly killer che lo aveva dilaniato all’apice del suo masochismo, e la storiella è così cruenta che mette una paura nera, pare folle, pare non esserci salvezza tra gli umani come in mezzo agli alberi del bosco. Si sta come In a Violent Nature, sugli alberi le foglie.