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Inferno rosso. Joe D’Amato sulla via dell’eccesso

2021
REGIA:
Manlio Gomarasca, Massimiliano Zanin
CAST:
Aristide Massaccesi (se stesso)
Eli Roth (se stesso)
Michele Soavi (se stesso)

Il nostro giudizio

Inferno rosso. Joe D’Amato sulla via dell’eccesso è un film documentario del 2021, diretto da Manlio Gomarasca e Massimiliano Zanin.

Parlare di Joe D’Amato significa trattare una parte significativa della storia – passata, presente e futura – di Nocturno Cinema. E allora, chi meglio di Manlio Gomarasca poteva dirigere un documentario sulla sua incredibile vita e carriera? Insieme a Massimiliano Zanin – già sceneggiatore per Tinto Brass e autore del doc Istintobrass, sul maestro dell’erotismo nostrano – Gomarasca dirige un rigoroso e appassionante omaggio a uno dei più grandi artigiani del cinema italiano, prolifico (diresse oltre 200 film) ed eclettico, tanto nei generi affrontati quanto nei ruoli ricoperti, da regista a direttore della fotografia, da produttore a operatore di macchina. Sotto il nume tutelare di Nicolas Winding Refn, i due autori scrivono e dirigono Inferno rosso. Joe D’Amato sulla via dell’eccesso, presentato a Venezia78 all’interno delle Proiezioni Speciali: un documentario che è Cinema con la C maiuscola, non una delle innumerevoli featurette presenti nei Blu-Ray import, un vibrante biopic su un uomo che ha dedicato la sua vita in modo quasi ossessivo al cinema; se vogliamo, Inferno rosso è per Aristide Massaccesi un po’ quello che Fulci for Fake di Simone Scafidi è per Lucio Fulci, un docufilm col quale forma un dittico da non perdere per ogni nocturniano che si rispetti. Perché nei vari forum e blog da quattro soldi si è detto tutto e il contrario di tutto a proposito di Joe D’Amato e del Bis italiano, per cui il lavoro di Nocturno in tutti questi anni e il documentario in questione (che è una sorta di compendio) risultano assolutamente necessari e imprescindibili per chi voglia avvicinarsi alla materia o approfondirne la conoscenza. Si era parlato poco tempo fa, a proposito de La santa piccola di Silvia Brunelli, di come il vento sia finalmente cambiato anche nei Festival più importanti, dove la barriera fra autorialità e “genere” sembra essere diventata sempre più sottile: un processo graduale ma necessario e inarrestabile, che trova un ideale fil rouge dalla retrospettiva veneziana sugli spaghetti-western del 2007 al documentario di oggi su Joe D’Amato.

Uno sdoganamento dei generi e dei costumi cinematografici ai quali – concedeteci la (veritiera) presunzione – il lavoro di Nocturno (dalla sua nascita a oggi) ha contribuito in maniera determinante, in quella che è una sorta di rivoluzione copernicana della critica cinematografica. Gomarasca e Zanin riescono a condensare in soli 70 minuti tutte le fasi più importanti della lunga e avventurosa filmografia di Joe D’Amato, unendo materiali di repertorio – in primis, la storica intervista realizzata da Nocturno a Massaccesi – con interviste realizzate ad hoc, dando così voce a un universo variegato di personaggi, il tutto inframmezzato da scene tratte dai film più significativi del Nostro, con un ritmo vivace e accorgimenti grafici accattivanti. Inferno rosso riesce ad essere al contempo un’opera di pancia e di testa, cioè sia un film emotivamente sentito e appassionato (e non poteva essere diversamente), sia un film costruito in modo rigoroso, quasi scientifico, che non scade nella facile aneddotica, ma fa intervenire diversi personaggi in grado di dare vita a un discorso unico, grazie anche al fluido montaggio di Alessandro Calevro. Pensare, fino a qualche anno fa, di portare Joe D’Amato in Laguna sarebbe stato considerato un’eresia, mentre oggi è realtà. E questo grande outsider del cinema fa parlare di sé non solo a Venezia, ma anche alla Cinémathèque Française: fra i personaggi che prendono voce, un ruolo significativo è sostenuto infatti da Jean-François Rauger, giornalista e programmatore della prestigiosa istituzione d’Oltralpe, il quale fa un po’ da Virgilio nell’Inferno del titolo.

Rauger narra la straordinaria carriera di Massaccesi all’insegna dell’eccesso e del gusto nel mostrare il proibito, tanto nell’erotismo quanto nell’horror, in un connubio singolare che pochi registi hanno saputo fondere in modo così spontaneo. Particolarmente importanti, a livello sia di minutaggio che di contenuto, sono poi lo stesso Joe D’Amato, la figlia Francesca Massaccesi, il regista americano Eli Roth (cultore del Bis italiano e autore di horror estremi), il produttore Franco Gaudenzi e l’attore George Eastman (Luigi Montefiori). Tutte persone, ad eccezione di Roth, che hanno avuto uno stretto contatto umano e professionale con Aristide, e che portano dunque testimonianze dirette e sentite. Più brevi, ma altrettanto significativi, sono poi gli interventi di altri nomi illustri dell’horror italiano (Michele Soavi, Lamberto Bava, Ruggero Deodato, Claudio Fragasso), e di registi cult come Jess Franco, Tinto Brass e Giuliana Gamba, oltre a vari tecnici del set. Il discorso si estende dalla lunga gavetta all’uso degli pseudonimi, dalla sua grande versatilità agli anni del successo, dalla messa in scena del sesso violento (in una continua ricerca dello shock per lo spettatore) alla produzione hard. Particolare attenzione è dedicata al ciclo di Emanuelle con Laura Gemser, ma anche ai più celebri horror gore (Buio Omega, Antropophagus, Rosso sangue), mentre la regia di Gomarasca e Zanin insiste su alcuni punti cardine: la genialità artigianale di Aristide, incompreso dalla critica, la sua peculiare fusione di erotismo e orrore, il piacere di scioccare e scandalizzare lo spettatore. Passando dai decamerotici agli western, dall’erotico-esotico al post-atomico, il discorso verte poi sulla sua celebre casa di produzione Filmirage (con la quale fece da mecenate producendo film anche per altri registi, come Soavi e Fragasso) e sul delicato tema del passaggio dal soft all’hard: il passaggio alla pornografia tout-court avvenne per motivi prettamente economici, e gli fruttò la nomea di “re del porno”, detestata tanto da Aristide quanto dalla figlia, poiché snaturava la sua carriera. Come lo definisce Refn, Joe D’Amato è una “Supernova”, ed è significativo come Inferno rosso inizi con un’immagine di Lucio Fulci: un altro gigante del Bis italiano, accomunato con Aristide dal genio artigianale, dalla ricerca dell’eccesso, e da una vita interamente dedicata al cinema.