Insidious – L’ultima chiave
2017
Insidious – L’ultima chiave è un film del 2017, diretto da Adam Robitel
Fine anni 50; in una casa annessa al penitenziario di massima sicurezza di Five Keys, vive il capo della vigilanza del Braccio della Morte con la famiglia. È un uomo tormentato, alcolizzato e spesso violento nei confronti della moglie succube e dei due figli piccoli. Forse influenzata dalla vicinanza di quel girone dantesco di anime dolenti e malvagità che è il carcere, la figlia più grande, Elise, avverte presenze soprannaturali, ma non può manifestare le sue paure per evitare le punizioni del padre-padrone. E il fratellino è ancora troppo piccolo per capire le dinamiche distorte di una famiglia dove serpeggia qualcosa di sinistro. Quando Elise si accorge che in casa si annida un’ entità che potrebbe far del male ai suoi cari, dovrà sfidare le regole ferree del padre per provare a fronteggiare la minaccia. Inizia così, immerso in un’atmosfera gotica e malsana a metà strada tra il Miglio Verde Kinghiano e il Prison di Renny Harlin, Insidious – L’ultima chiave. Che a parere di chi scrive è probabilmente il migliore dei sequel per compattezza narrativa, cura formale e spaventi più autentici del solito. Per i più addentro nella continuity della saga, giovi sapere che L’Ultima Chiave è il sequel di Insidious 3, che a sua volta fungeva da prequel dei primi due episodi. Confusi? Comprensibile, ma importa fino ad un certo punto, perché il film è molto godibile anche senza aver visto gli altri capitoli e solo in una brevissima sequenza finale si riallaccia al primo Insidious
La piccola Elise protagonista dell’incipit è quella Elise Rainier che è il vero asse portante della serie. Archiviato il suo primo incontro con il maligno e con quella dimensione soprannaturale nota come l’Altrove di Insidious 3, in Insidious – L’ultima chiave Elise è diventata una medium abile e preparata e ha già formato un team formidabile con i due ghostbusters Tucker e Specs. Quando riceve una richiesta d’aiuto proveniente da un uomo che dice di essere perseguitato da un poltergeist e vive proprio in quella maledetta casa in cui è cresciuta, Elise è inizialmente riluttante, ma poi accetta la duplice missione di risolvere il caso e di affrontare una volta per tutte i demoni (psicologici e reali) che la perseguitano fin dall’infanzia. Ed il ritorno di Elise a Five Keys coinciderà con l’incontro con suo fratello, col quale non ha più contatti da anni e che l’accusa di averlo lasciato da solo in balia del padre aguzzino. Come se tutte queste rogne familiari e soprannaturali non bastassero, il fratello ha anche due figlie ventenni (alquanto bellocce), che considerano zia Elise come un modello e pur di seguire le sue orme si impelagano col soprannaturale, con esiti devastanti. Insomma, tra poltergeist, incursioni nell’Altrove e una presenza demoniaca nuova di zecca (la creatura con le dita a forma di chiave che si intravede nel superbo trailer), i fan della serie troveranno pane per i loro denti, ma come già accennato sopra, anche i profani avranno di che divertirsi e/o spaventarsi, perché L’Ultima Chiave ritrova quella coesione narrativa che sembrava essere smarrita in Insidious 3, pellicola troppo incerta tra reinvenzione quasi parodistica dei canoni della saga e fedeltà alla formula.
La regia stavolta è affidata ad Adam Robitel, habitué del clan BlumHouse e responsabile del piccolo ma interessante The Taking. Bisogna dire che il giovane Robitel qui dimostra di essere un solido mestierante, di quelli che non se la tirano con pretese autoriali e affrontano il compito con serietà e amore per il genere. Ed è forse grazie a questa iniezione di nuova linfa creativa che Insidious – L’ultima chiave riuscirà a convertire anche gli scettici della saga. Il mix di spaventi e gag umoristiche (affidate come sempre all’arguzia della veterana Lin Shaye o alle scaramucce verbali tra Specs e Tucker) fila liscio come l’olio, i colpi di scena vanno a segno e finalmente c’è una creatura mostruosa e inquietante a garantire quella tangibilità orrorifica che mancava alla serie, che a volte brancolava in un’Altrove troppo rarefatto e (a parere di chi scrive) forse troppo furbetto per spaventare sul serio. E la trovata di un fischietto usato come esca/richiamo per le presenze soprannaturali è una sorta di Uovo di Colombo che rimane impressa nella memoria per semplicità ed efficacia.