Into the Dark 2 – A Nasty Piece of Work
2019
A Nasty Piece of Work è il terzo episodio della seconda stagione della serie antologica Into the Dark, diretto da Charles Hood.
Qualora ci fossero ancora dubbi, Jordan Peele e il suo horror sociale hanno fatto scuola. In Into the Dark l’influenza del regista di Get Out e di Noi è stata sentita più volte, specie nelle ultime puntate. Dal fantapolitico Culture Shock al femminista Pure, per poi ripresentarsi nell’anti-tradizionalista Pilgrim. Prosegue l’ispirazione e l’infatuazione (e siamo solo all’inizio del nuovo giro) con A Nasty Piece of Work, episodio natalizio dai tratti anomali, sicuramente meno horror e più votato al black humour. Protagonista, stavolta, la classe operaia che non va in Paradiso. Magari lo agogna, in forma di poltrona in pelle umana e stipendio a sei zeri, ma non lo può raggiungere, in quanto orizzonte che non si avvicina mai. Sicuramente il risultato è non comune, specie per quanto riguarda la produzione a tema negli Stati Uniti, mai tanto prodiga di contenuti sulle condizioni di lavoratori, impiegati e dipendenti a tempo. L’unico orrore che vedrete in questa puntata risiede proprio in questo.
Ted lavora da anni in un’importante azienda sperando di impressionare il proprio capo, Steven, e di ottenere la promozione che cambierebbe la sua vita. Lui e l’ottuso collega Gavin saranno invitati ad un party di Natale presso la sfarzosa villa di Steven e una volta lì, accompagnati dalle rispettive mogli, capiranno ben presto che l’occasione è stata creata apposta per testare le loro capacità. Pian piano che la serata andrà avanti, Steven e sua moglie Kiwi sottoporranno impiegati e consorti ad esperienze sempre più terribili da sostenere. Il tutto ovviamente per la scalata sociale, il patto col Diavolo. La caratterizzazione del sestetto è impressionante, così come l’efficacissimo black humour all’inglese che trova il suo apice nell’accento anglosassone di Julian Sands, il Warlock dell’omonimo film di trent’anni fa. Il gioco delle coppie è gestito con la stessa sapienza, tra momenti di crisi e scontri tra fazioni che continuano a mutare. Manca, in tutto questo, la componente ematica e tensiva, risucchiate da una sceneggiatura molto verbosa scritta da Paul Soter, veterano della commedia caciarona americana. La regia di Charles Hood invece è quadrata e perfettamente a suo agio negli interni. Il casting, inoltre, è perfetto, dalla coppia rivale tutta apparenza e niente sostanza formata da Gavin e Missy a quella protagonista, non scevra di contraddizioni, composta da Ted e Tatum. Senza dimenticare infine i bizzarri e diabolici padroni di casa.
Insomma, a A Nasty Piece of Work non manca di certo il ritmo, la capacità di catturare lo spettatore, così come quella di inquietarlo in certi punti. Anche perché il colpo di scena finale è cosa certa sin dai primi minuti e la curiosità sta tutta nel vedere chi c’è veramente nella villa oltre ai sei già noti. Non giriamoci tanto attorno e diciamo che la risoluzione finale non è proprio all’altezza di quanto visto per un’ora e venti, anzi stona proprio. Volendo dimostrare la corruttibilità assoluta dell’essere umano, ci si è scordati del punto più importante, ossia che il servo, il sottoposto rimane tale, anche quando pensa di avere il potere tra le proprie mani. Una mezza occasione sprecata per ridicolizzare anche la deriva linguistica che il mondo del lavoro sta percorrendo, tra mansioni in forma di supercazzola e ridicoli slang da psicologia motivazionale di bassa lega. Della serie, ci si poteva andare giù in maniera più pesante.