La bestia uccide a sangue freddo
1971
La bestia uccide a sangue freddo è un film del 1971, diretto da Fernando di Leo.
Fernando di Leo non lo amava e pubblicamente sosteneva fosse tra i suoi peggiori film, se non il peggiore tout-court. Poi vennero dall’America un paio di tizi a intervistarlo, in occasione di un’uscita in dvd che – parole testuali di Di Leo – lo gelarono obiettando alle sue critiche negative che La bestia uccide a sangue freddo era pulp e quindi, ipso facto, da culturalizzare prescindendo da qualunque motivazione di ordine logico o estetico.
Logico va bene, perché la pellicola è irrazionale nella misura in cui prospetta una clinica di malati mentali, anzi di malate, tutte belle e desiderabili, alloggiata in un vecchio castello dove le più svariate armi di offesa e tortura, picche, alabarde, lance, Vergini di Norimberga, mazze chiodate, balestre e quant’altro possa recare offesa in maniera violenta, sono esposte alle pareti in bella vista, accessibili a qualunque mano e a qualunque disegno criminale. Ma sull’estetica gli americani avevano ragione: non si può dire niente a Di Leo e alla fotografia di Franco Villa per la maniera in cui sono illustrati ed enfatizzati ambienti e colori e situazioni del mattatoio in cui si trasformano le topografie del manicomio quando un killer bardato con cappa e spada, una nera silhouette che caracolla per corridoi e passaggi segreti sfruttando il favore delle tenebre, comincia a seminare strage tra le pazienti.
Costoro sono ninfomani, lesbiche, inclini all’incesto e sembrano una crestomazia dei personaggi che andavano per la maggiore nei giornaletti per adulti del periodo. Il sapore e il tono sono infatti quelli, dei fumetti dell’editore Naviglio nelle loro declinazioni più sanguinarie e piccanti. Le vittime del mostro – che poi mostro non si rivelerà bensì artefice di un piano raffinato per intorbidare le acque e far fuori un bersaglio specifico confondendolo nella carneficina – smaniano nel letto masturbandosi come accade a Rosalba Neri o intrecciano relazioni omosex come accade alla mulatta Jane Garret che trova soddisfazione grazie all’infermiera Monica Strebel, la quale, nella versione più audace per il mercato francese, è lì lì dal praticarle a un certo punto un cunnilingus su cui la luce che brilla è decisamente rossa. Di Leo non ha mai respinto la paternità delle sequenze più forti e d’altra parte il frangente lesbico appena descritto – preparato da una lunga scena di ballo e da un intensissimo bacio tra le due interpreti di quelli detti “alla francese” – porta chiaramente la firma dell’ossessione regina del regista; ma è possibile che la macchinazione di una alternative version con caratteristiche pornografiche arrivasse come stimolo soprattutto dal produttore Armando Novelli, che in simili ambiti si è sempre mosso a suo agio e con disinvoltura.
Vile o ordinaria quanto si voglia la materia prima del plot (la sceneggiatura è firmata da di Leo con associato il nome del fratello Nino Latino, ma è or ora emersa la notizia che una preistoria del film potrebbe essere ravvisabile in un progetto del 1970 del produttore svizzero Erwin Dietrich dal titolo tedesco Il castello degli uccelli blu – che fu il titolo in Germania della Bestia uccide a sangue freddo –, in predicato di essere diretto da Jess Franco ma poi abortito), di Leo la riscatta con il girato nel momento in cui si inventa scene poderose come la doccia forzata con l’acqua gelida per estinguere la vampa sessuale della Neri – e le sonorità sperimentali di Silvano Spadaccino qui sono un complemento di preziosità e di raffinatezza – o nel momento in cui la Garret al verone viene fiocinata alla gola dal dardo di una balestra.