La casa oscura
2021
La casa oscura è un film del 2021, diretto da David Bruckner.
Il cuore di La casa oscura è nascosto in bella vista, occultato fra le travi e i muri della bellissima abitazione dove il racconto si dipana. Lo mostrano i primi minuti del film, con la camera che disegna il contrasto fra l’esterno ventoso e gli interni statici della casa: contro la mobilità esterna e imprevedibile, la villa si presenta arroccata e immobile, un forte difensivo dove la protagonista Beth, che ha da poco perso il marito, cerca rifugio dalle intemperie della vita. Ma gli spiriti, si sa, non riposano mai: la casa sul lago diviene, nel tempo di un paio di notti, il palcoscenico entro cui l’angosciata vedova si aggira in cerca di qualche segnale dall’oltretomba. La villetta è irrequieta, e Beth con lei. È giusto partire dalle basi con un prodotto come La casa oscura , che punta prima di tutto a tramutare lo scoglio casalingo in una trappola angosciante. Semplice e lineare, come gli stilemi del genere dettano. In questo banalissimo meccanismo, però, il sapiente David Bruckner (The Ritual) ci vede altro.
Dipinge Beth (una strepitosa Rebecca Hall) come una novella Julia di Hellraiser – e infatti La casa oscura è ciò che rimane del progetto di un remake del film di Clive Barker: persa nel limbo doloroso tra la vita e la morte, la donna non riesce a darsi pace sulla morte improvvisa del proprio amante. Lo spirito più inquieto all’interno della night house è proprio il suo: e così, su questa onda, il film cerca di convertire il proprio tenebroso canovaccio in una cupa meditazione sull’elaborazione del lutto, sulla paura della morte e la necessità di superare il dolore. Sono riflessioni che, a ben vedere, abbiamo fatto anche troppo spesso di questi tempi: nella new age dell’orrore umanizzante, tra Kent, Aster e Flanagan, “il vero mostro è il dolore” non è più un concetto particolarmente accattivante. Anche perché il risvolto metaforico di questo horror si risolve in maniera non poco scricchiolante, con un villain didascalico che diviene trasposizione letterale (persino nel nome) del terrore della nostra eroina. Un babau particolarmente romanzesco a cui mancano ferocia e personalità.
A dare colore al tutto c’è, per fortuna, un affascinante retroscena mitologico-soprannaturale. E qui il cerchio si chiude sul rapporto con l’abitazione che dà il titolo alla pellicola. L’elemento occulto, su cui resta posato un velo di graditissima ambiguità, si traduce in un gioco di specchi e raddoppiamenti che confonde gli spazi e trasforma la casa di Beth in un enigma, una trappola soprannaturale entro cui la metaforica entità è imprigionata insieme alla povera vedova. All’interno di questo spazio il racconto psicologico si distorce e si allunga, in un labirinto di scorci e immagini che sprizza personalità e ambizione. Sarà anche un vezzo di forma, è vero, ma a volte sono l’atmosfera e il gusto autoriale, più che il racconto in sé, a fare la differenza. È grazie a questa sua intrigante dimensione narrativa che La casa oscura trascende i limiti della propria impostazione concettuale, ormai prematuramente invecchiata, e diviene un garbato, godibilissimo esercizio di costruzione d’atmosfera. Nulla di particolarmente esaltante, ma il gioco vale la candela.