La Corte
2015
La Corte è un film del 2015 diretto dal regista Christian Vincent
Austero, socievolmente poco propenso, soprannominato il “ giudice a due cifre” (per la spietatezza delle sue condanne), Michel Racine (Fabrice Luchini), è un temuto Presidente di una corte d’assise. Durante un caso processuale, la vita di questo apatico giudice viene sconvolta dalla comparsa di una giurata, Ditte Lorensen-Coteret (Sidse Babett Knudsen), quella stessa donna che sei anni prima lo fece innamorare… La Corte è un lavoro che dettaglia l’ambiente legislativo francese “ecumenicamente”. La scelta di rappresentare il tutto in maniera “sottocutanea” è dettata da un desiderio condiviso fra il regista, Christian Vincent e il produttore Matthieu Tarot. Si mostra il cosiddetto “regno della parola”, fondato essenzialmente sulla natura orale del dibattito. Un “luogo” dove coesistono quelli dotati di una padronanza linguistica non indifferente, con altri che non hanno la capacità di replicare a modo.
La storia di La corte scaturisce spontaneamente con la personalità del magistrato. Un uomo apatico, che trova quella sua “realizzazione esistenziale” solamente dal ruolo che ricopre in tribunale. Insicuro, messo ai margini nella collettività, accentrato e ben determinato nella corte d’assise. Il punto di forza del film sono le interpretazioni squisitamente empatiche dei due protagonisti, che ottimizzano notevolmente un lavoro dall’andamento morigerato, ma efficace e diretto. Fabrice Luchini, premiato all’ultimo festival di Venezia con la Coppa Volpi, esprime una poderosa interpretazione, alternando austerità a fragilità. L’immedesimazione nel giudice è dettata dall’affinità romantica di Luchini, il quale, essendo un abile perfezionista, è molto bravo a curare dettaglio.
Ad affiancarlo, una sensuale Sidse Babett Knudsen, efficace nel ruolo da co-protagonista. Una soave empatia quella sprigionata da questa “coppia attempata” nonostante la distanza dei ruoli da loro ricoperti. La Corte riesce a confezionare con delicatezza storie ma anche conduzioni di vita diverse fra più persone. Un “epicentro esistenziale” capace di trasparire o apparire a seconda dei casi. Per Christian Vincent, è importante quindi mostrare un tribunale come quell’ “involucro” capace di contenere e “mescolare” differenti classi sociali e diverse culture. Evitare dunque l’omologazione fra persone, ma formare una società eterogenea.