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La cospirazione del Cairo

2023
Titolo Originale:
Boy from Heaven
REGIA:
Tarik Saleh
CAST:
Tawfeek Barhom (Adam)
Fares Fares (col. Ibrahim)
Mohammad Bakri (gen. Al Sakran)

Il nostro giudizio

La cospirazione del Cairo è un film del 2022, diretto da Tarik Saleh.

Dopo l’omicidio, ecco la cospirazione. Già i titoli italiani dei due film dedicati al Cairo di Tarik Saleh, regista nato a Stoccolma da genitori egiziani, suggeriscono che l’Egitto oggi è avvolto da una cortina nebbiosa, da una situazione oscura a prescindere dalla favola dello “Stato arabo moderato”, dalla polvere che sistematicamente si nasconde sotto il tappeto. Vedi alla voce Giulio Regeni, vedi il governo di al-Sisi indicato dagli organismi internazionali come dittatura in violazione dei diritti umani. Del resto, lo stesso Tarik Saleh è stato bandito dall’Egitto e costretto a girare in Turchia dopo il precedente Omicidio al Cairo (titolo originale The Nile Hilton Incident), storia di una cantante trovata morta in un hotel che diventa thriller politico e si espande a raggiera fino a toccare i vertici del potere. Che non hanno gradito. Proprio nel 2011, nell’epoca di piazza Tahrir, alla faccia della primavera araba. Ne La cospirazione del Cairo (titolo originale Boy from Heaven), premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes, il discorso continua ma si allarga e l’ambizione cresce, applicandosi addirittura alle massime autorità religiose che si intrecciano con quelle politiche e vengono pilotate da esse.

Il protagonista è Adam (Tawfeek Barhom), giovane proveniente da una famiglia di pescatori, che un giorno dismette le reti nel Mar Rosso per iniziare gli studi all’università di al-Azhar, il principale centro di insegnamento dell’islamismo sunnita costruito intorno alla moschea eponima. Va detto che al-Azhar è un luogo in sé molto discusso, dove viene segnalato il rischio di radicalizzazione, per esempio fu frequentata da un ragazzo della periferia di Bruxelles che poi andò a farsi esplodere al Bataclan – lo racconta bene Emmanuel Carrère nel libro reportage V13. Divagazione a parte, il film conferma la fama dell’università: Adam arriva e la prima cosa a cui assiste è la morte del Grande Imam di al-Azhar, che si accascia durante una predica. Parte la lotta per la successione: i servizi segreti egiziani si riuniscono per indirizzare l’elezione, trattandosi di una delle cariche maggiori dell’Islam, il piano è di piazzare l’Imam gradito al regime così da ammazzare in fasce il possibile dualisto tra potere politico e religioso e avviare una solida dittatura, a una sola voce. D’altronde, si dice, “non ci possono essere due faraoni”.

I cospiratori hanno una talpa all’università, che però viene scoperta e uccisa. Omicidio che ricorda da vicino la sorte di Regeni, ancora, a cui il racconto sembra proprio riferirsi nella battuta: “La sicurezza dello Stato ha ucciso lo studente straniero”. Da parte sua, Adam viene avvicinato da una figura misteriosa, il colonnello Ibrahim (un sempre magnifico Fares Fares), il quale lo assolda come nuova pedina della fazione governativa nell’istituto: lui è appena arrivato dalla provincia, non è nessuno, insospettabile, in più i servizi sanno tutto di lui e possono aiutare la sua famiglia come metterla in difficoltà. Adam deve accettare. Si infiltra così nei partiti dei possibili candidati, soprattutto due: l’estremista Al-Durani, condensato dell’Islam radicale, e l’illuminato Negm, lo sceicco cieco, che come tutti i non vedenti ha lo sguardo lungo e si permette perfino di citare Marx al suo auditorio. Il governo di al-Sisi vuole far eleggere un terzo, “un moderato”, ovvero un burattino prono al regime. Adam diventa allora il fulcro di un racconto palpitante, che buca le due ore, passando da minacce a pedinamenti, da soffiate a fughe, con l’obiettivo di portare a casa la pelle. La narrativa di spionaggio di Graham Green incontra il thriller politico di Sydney Pollack e lo installa sul suolo egiziano trovando la sua peculiarità, perché finora non si era visto il grande gioco dei servizi contendersi l’elezione di un Imam. Il riferimento dell’intreccio è Il nome della rosa: come Guglielmo da Baskerville arriva nell’abbazia, così il novizio Adam giunge nell’università teatro dei delitti. E torna da dove era venuto, con una nuova consapevolezza, meglio prendere i pesci che farsi divorare dalla testa del serpente. La denuncia è ovviamente contro la dittatura, ormai vagamente travestita da normalità. Al netto di alcune semplificazioni, buoni contro cattivi, e di certe prolissità che si potevano sfrondare, il congegno alla fine funziona.