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La donna velata

2010
Titolo Originale:
La donna velata
REGIA:
Edoardo Margheriti
CAST:
Evelina Manna
Enrico Lo Verso
Francesco Siciliano

Il nostro giudizio

La donna velata di Edoardo Margheriti, un mistery ambientato nel cuore magico di Torino, tra apparizioni arcane, quadri misteriosi e fantasmi giustizieri…

Laura ha 4 anni quando, giocando a nascondino nel cortile della nonna, si rifugia in una cantina dove una misteriosa presenza la terrorizza. A 30 anni, diventata una celebre modella, Laura torna in visita dalla sorella Claudia, nella sua Torino, dove si tratterrà alcuni giorni nella vecchia casa della nonna, ormai disabitata. Qui incontra Cesare Orsini, un pittore quarantenne che vive al piano di sopra: i due, subito attratti, diventano amanti. Una notte, Laura sogna una scena dei primi del ‘900: un pittore senza volto dipinge il ritratto di una donna che le somiglia moltissimo. Il portinaio, Franco, pare sapere molte cose…

Noi addetti ai lavori, noi cinefili bis, abbiamo una deformazione: difficilmente riusciamo a parlare di qualcosa senza evocarne di necessità un’altra. Per questo il nostro universo è pieno zeppo di riferimenti, di trame occulte che uniscono un punto a un punto b, di rimandi e di citazioni. Il bello (o il brutto, a seconda) è che queste inter-relazioni sono puro frutto della nostra mente: pensiamo sia così, vorremmo che fosse così, ma quasi mai è così. La donna velata di Edoardo Margheriti ci evoca subito – basta il titolo – quel Ritratto di donna velata, sceneggiato Rai del 1974 diretto da Flaminio Bollini, che turbò i sonni di parecchi di noi allora ragazzetti: chi se lo dimentica, quel racconto di reincarnazione con protagonista la Daria Nicolodi che stava per passare, anzi precipitare, nel caleidoscopio di incubi di Profondo rosso? Anche nel film tv del figlio di Antonio Margheriti c’è di mezzo qualcosa che sembra metempsicosi: Evelina Manna è una fotomodella che tornata nella casa della nonna, a Torino, dove piccina aveva avuto strane e spaventose esperienze, diventa ossessionata da un quadro dei primi del Novecento raffigurante una misteriosa donna nell’atto di venire ritratta da un pittore. La Manna si sogna nei panni della modella e conosce Enrico Lo Verso, un casigliano che vive al piano di sopra, di professione pittore. E qui la spirale del mistery comincia a girare…

Il fatto è che il ricordo evocato dello sceneggiato di Bollini può stare giusto nel titolo ma poi lì si ferma. Sembrerebbe un rilievo altresì dovuto dire che Margheriti gira ricordandosi che suo padre è stato tra i fondatori del gotico italiano e che sul tema dell’eterno ritorno strutturò ben due film, l’uno il remake dell’altro, entrambi degli outsiders del genere, Danza macabra e Nella stretta morsa del ragno. Ma in ultima e obiettiva analisi, qui c’è solo un regista che sa il fatto suo e che l’aveva già messo in chiaro nel tv-movie di qualche mese fa Negli occhi dell’assassino. Cifra, stile e impronta. Torino offre il contesto giusto, la cornice adeguata al plot che – racconta Margheriti – trae spunto da una leggenda autoctona molto famosa, quella di una donna velata che appariva ai viandanti nei pressi dell’ex cimitero di S. Pietro in Vincoli e li accompagnava per un tratto si strada. Un fantasma, of course. Ma l’alone suggestivo, la palpabile presenza dell’impalpabile, il giro di vite del thriller, sono funzioni della regia di Margheriti; che sa fare, tra l’altro, molto bene di necessità virtù.

La necessità è il cast. La virtù è la capacità di sfruttarlo al meglio. Margheriti dirige per la seconda volta una protagonista passata attraverso gli scaldaletti che un paio di anni fa coinvolsero alcune favorite dello zar. Sta di fatto che Evelina Manna è una presenza matronale e sfingea che al personaggio di Laura porta qualcosa di originale. Forse è poco canonica come eroina di una fiction, ma in fondo questo aggiunge anziché levare. Per certi versi è una figura inquietante, spontaneamente inquietante, per cui ben venga. Tanto più che non ha problemi a spogliarsi. Enrico Lo Verso, invece, che di solito è un buon attore, qui si incastra poco o niente con lei, di fronte (o sopra) alla quale sembra uno scricciolo. Anche se nella sequenza della metafisica resa dei conti, alla fine, vive il suo minuto di gloria.