La macchinazione
2016
La macchinazione è un film del 2016, diretto da David Grieco.
Più affine al Pasolini del Delitto italiano che Marco Tullio Giordana ricostruisce nel suo film-inchiesta del 1995, e piuttosto distante da quell’ultimo Pasolini di Abel Ferrara, La macchinazione di David Grieco, in sala dal 24 marzo grazie alla distribuzione di Microcinema, è un film, al fondo e fino in superficie, anche oltre Pasolini, un film sulla verità. La trama è quella intricata degli ultimi tre mesi di vita di un Pasolini “stanco”, che non ne può più “di fare e dire le stesse cose” e che scavando attorno alla figura di Eugenio Cefis, scrive Petrolio, atto di accusa contro il potere politico ed economico dell’epoca; e allora gira Salò o le 120 giornate di Sodoma, “un film difficile” che ama immaginare con le bandiere rosse che sventolano in un finale di speranza anche se lui odia “la parola speranza”. Un film, Salò, vincitore nella sezione classici dell’ultima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Una “scelta storica” è stato detto in quel vicino settembre 2015, visto che Salò non aveva mai vinto prima alcun premio. E storica, nel senso di impertinente, quindi capace di offrire una visione altra, è la motivazione di Grieco al suo film: «Non potevo sopportare l’idea che il Pasolini di Abel Ferrara diventasse la tomba di Pasolini al cinema», spiega il regista. È “intollerabile essere tollerante” dice Pasolini citando Cocteau, come intollerabile è la verità di comodo sulla sua morte, scelta da Ferrara come da tanti, quella di una brava serata di borgata e di un incontro sessuale finito male.
E così con un Pasolini che non è Willem Dafoe ma indossa la pelle di Massimo Ranieri e con la suite Atom Heart Mother, concessa dai Pink Floyd “proprio per Pasolini”, Grieco riesce nel suo tentativo di raccontare non una verità ma la macchinazione delle tante, portando sullo schermo una tesi forte, perché ben costruita e verosimile, in cui gli orditi complotti si annodano con i tradimenti fortuiti. Non per questo meno colpevoli. La macchinazione è infatti quella che avviene tra i ragazzi di vita – il Pino Pelosi (Alessandro Sardelli) con cui Pasolini aveva all’epoca una relazione e che vantava legami con la malavita organizzata – e i fascisti, i magistrati, i poliziotti corrotti, la Banda della Magliana e tutto quell’apparato di potere politico-massonico-criminale che rende innocenti e colpevoli responsabili e complici allo stesso modo. La macchinazione è, quindi, quella che ha portato alla morte di Pasolini in quell’idroscalo di Ostia nella notte del ‘75, ma è anche quella che le trivellatrici a mo’ di carro armato innescano soltanto negli ultimi minuti di film (quasi a ricordarci del referendum del 17 aprile), cioè la macchinazione che è venuta dopo. Dopo Petrolio rimasto incompiuto, dopo i negativi rubati di Salò, dopo Pasolini e la sua morte, dopo il suo corpo calpestato e la sua memoria dimenticata. Dopo l’Italia che è arrivata dopo e quella che sopravvive anche oggi. Perché La macchinazione è anche un film sul nostro Paese, sulla giustizia e sulla sua assenza, un film su Pasolini come su Giulio Regeni, un film sui perché, sulle morti e sul silenzio. Anche, sulla pietà: “una cosa importante” che “i giovani hanno dimenticato”.
Tutti siamo, a questo mondo, innocenti a tempo determinato. Ad ogni modo colpevoli. Come Pino, ragazzo “innocente ancora per poco”, che tradisce Pasolini non perché non lo ama ma perché “solo chi ti ama ti tradisce”. E perché in una società in cui “la repressione è il nostro vaccino”, perché “repressione è civiltà” – come ci ricorda Sergio (Matteo Taranto) citando Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto –, allora “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica” diventano, in Italia, impraticabili, “due cose inconciliabili”. Queste le parole di Pasolini che, facendo subito male, ma di un male che fa bene, aprono il film. Un film, avvisa la produttrice Marina Marzotto (founder e senior partner di Propaganda Italia qui in co-produzione francese con To be continued productions) “per molti ma non per tutti”. Se solo amassimo essere un po’ più tutti e meno molti, se solo usassimo il cinema come usiamo le biblioteche, usando la libertà di opinione che è una per consumare le verità sui fatti che sono sempre molte. Se solo smettessimo di chiederci “chi ha ucciso Pasolini” e cominciassimo a domandarci perché. Senza far finta sempre di saperlo, senza smettere mai di fare domande.