La morte ha fatto l’uovo
1968
Giulio Questi firma un film bizzarro fin dal titolo, La morte ha fatto l’uovo, realizzando un omaggio al maestro del cinema surrealista Luis Buñuel.
In un pomeriggio del 1966, Giulio Questi era in compagnia dell’amico Franco Arcalli per scrivere la sceneggiatura de La morte ha fatto l’uovo (Giulio Questi, 1968), quando qualcuno suonò alla porta. Era Alessandro Jacovoni, un produttore che propose ai due intellettuali di misurarsi col western, genere all’apice del successo. Seppur con qualche perplessità i due raccolsero la sfida. Nacque Se sei vivo spara (Giulio Questi, 1967), un western bizzarro in parte debitore di quella dimensione pop in cui i due autori si era da tempo calati. Terminata l’esperienza western, Questi e Arcalli tornarono sulle carte che avevano momentaneamente accantonato e portarono a termine il lavoro iniziato mesi prima. In breve la sceneggiatura fu ultimata e le riprese iniziarono. Secondo le intenzioni del regista, il ruolo di Marco fu affidato a Jean-Louis Trintignant, ma per il ruolo di Anna la produzione impose Gina Lollobrigida, inizialmente respinta da Giulio Questi, ma in seguito accettata perché, secondo le parole del regista, il film doveva essere un’operazione volutamente kitsch e in fondo, «fare un giallo con una storia di polli e prendere la Lollobrigida come protagonista, a quel tempo, era davvero un’operazione kitsch!».
Bizzarro fin dal titolo, La morte ha fatto l’uovo supera le provocazioni del film precedente, in un saggio estremo che ricorda per alcuni aspetti le lezioni surrealiste di Luis Buñuel, con tanto di scena che rievoca L’angelo sterminatore (Luis Buñuel, 1962): durante una festa, per gioco, si decide di svuotare una stanza di tutti i mobili che la arredano e vi si fa entrare, a turno, un uomo e una donna completamente soli. Erotismo e violenza in perfetto stile Bataille costituiscono gli ingredienti principali di un cocktail micidiale che, attraverso un montaggio estremo e sperimentale e una narrazione anarchica, dà origine ad una nuova interessante rivisitazione del genere giallo in chiave pop. Così come per Se sei vivo spara, anche in La morte ha fatto l’uovo tornano alcune delle componenti costanti del cinema di Questi: la rielaborazione del genere cinematografico, la forzatura visiva, il gusto dell’eccesso, la violenza.
Nonostante i buoni propositi, il film non convinse pienamente la critica del tempo e persino oggi il film appare piuttosto datato. Alla sua uscita, Tullio Kezich accolse il film piuttosto positivamente pur riconoscendo che i dialoghi non erano all’altezza di un’opera così aggiornata come dimostra invece la delirante colonna sonora di Bruno Maderna, i cui brani d’avanguardia ben si sposano con lo spirito anticonformista della pellicola. Fra citazioni buñueliane (qualcuno spese anche il nome di Godard) e critiche al consumismo imperante, La morte ha fatto l’uovo, rappresenta senza dubbio una delle pellicole più kitsch, più interessanti e, nello stesso tempo, meno note del cinema italiano. Come ricorda Giulio Questi: «Erano gli anni del boom economico. L’industrializzazione era una marea montante che travolgeva tutto, un inno al futuro, un frenetico impacchettamento di prodotti, senza distinzione tra inanimato e animato. I prodotti ancora vivi gridavano di terrore e di dolore. I grandi allevamenti di polli ne erano un simbolo. Ogni pollo era un uomo, ogni gallina una donna, ogni pulcino un bambino. Su di loro si costruiva la ricchezza. E su tutto trionfava l’UOVO, bianco, liscio, perfetto, con la vita chiusa dentro. La perversione sessuale rimaneva l’unica via di fuga possibile».